4 aprile 1970, era l'anno beethoveniano. Il Quartetto Italiano portava in tournée un programma interamente dedicato al Maestro di Bonn, e fece tappa a Pistoia suonando anche la Grande Fuga in mi bemolle maggiore, quella espunta da Beethoven stesso dal Quartetto op. 130. Fu per me, poco più che adolescente, una folgorazione, una emozione intensissima, quella del difficile linguaggio beethoveniano meravigliosamente fuso con il rigore dell'esecuzione, che ricordo ancora con i brividi. Mi si aprirono scenari nuovi, differenti da quelli soprattutto operistici nei quali ero adagiato: il mio Rossini (autentica fissazione a quei tempi), il mio Verdi, il mio Puccini. Altri autori erano di là da venire ed arriveranno, come è logico, col passare degli anni.
Farulli lo scoprii così, viola del Quartetto Italiano, che ascoltai molte molte volte: non solo Beethoven, ma anche Schubert, Dvořák, Mozart, Brahms, Bartòk e tanti altri, nel Salone del Circolo Pio X ed altrove. Serate consegnate alla storia per il rigore esecutivo delle esecuzioni, per la grande tensione emotiva, per lo straordinario modo di far musica insieme, di "trovarsi" dei quattro strumentisti, dal suggerirsi qualcosa l'un l'altro con qualche occhiata furtiva o qualche rapido cenno della testa, segni complementari all'intensissimo lavoro di preparazione dei brani eseguiti. Il Quartetto Italiano era quasi di casa al Salone del Pio X, raccolto scrigno di un bel palazzotto sette-ottocentesco, regno di don Mario Lapini: una vita votata alla musica oltre che al sacerdozio, artefice di una stagione cameristica molto importante, addirittura irripetibile dal punto di vista della crescita culturale nel campo della musica per una città piccola e di periferia come Pistoia. Bar piccolino e molto modesto, stanze fumose con tavoli da gioco, sala TV, scaloni dai gradini bassi che portavano ai piani superiori, ambienti di pregio con soffitti dipinti. Lo ricordo ancora d'inverno, con il vento di tramontana gelido che viene giù dall'Abetone, o in certe serate piovigginose con l'umidità che ti entra nelle ossa; nel tepore del Circolo, autentico punto di ritrovo, una umanità varia e dai molteplici interessi. E c'era anche il Salone per i concerti, davanti alla cui tenda rossa sono passati nei decenni moltissimi grandi nomi del concertismo.
L'importanza storica del Quartetto Italiano (parlo degli anni in cui la viola era Farulli, che prese il posto di Forzanti, e prima che arrivasse per un breve periodo Asciolla) nel panorama musicale italiano e mondiale è sotto gli occhi di tutti: un complesso apprezzatissimo ed ammirato in ogni sala da concerto dove si esibiva, un quartetto d'archi di importanza storica le cui esecuzioni sono fortunatamente documentate in maniera assai ampia dalle registrazioni discografiche. La viola di Farulli quando suonava in quartetto non era mai in secondo piano, spuntava qua e là morbida ma decisa, dialogava, suggeriva, inseguiva. Credo che un suo insegnamento fondamentale sia stato che in un complesso da camera non c'è nessuno strumento in subordine rispetto agli altri, ma che sono tutti alla pari in un intreccio dagli equilibri delicatissimi. La riprova di questo concetto è che quando dopo oltre trenta anni di sodalizio artistico ed umano con Piero Farulli i tre membri superstiti del Quartetto suonarono con Asciolla in quei tristi concerti "per il Quartetto Italiano", gli equilibri interni erano quasi saltati; come pure l'oggettiva prudenza di Farulli ad inserirsi, non tanto nel Trio di Trieste, quanto nel Quartetto Amadeus: e questo per ascolti diretti e personali.
Poi bisogna ricordare Piero Farulli docente eccelso e rinomatissimo in tutto il mondo, uomo di cultura e di impegno, e soprattutto la sua grande opera di diffusione della musica culminata nell'avventura della Scuola di Fiesole (operante dal 1974, e da cui è nata l'Orchestra Giovanile Italiana) adesso nelle mani di Andrea Lucchesini. In occasione dei festeggiamenti per i suoi ottanta anni Farulli ebbe a dire: "Se finì la straordinaria avventura del Quartetto Italiano, ancora sta crescendo questa miracolosa della Scuola di Fiesole, ogni giorno in forse eppure sempre più proiettata in avanti, sempre più ricca, sempre più attraente per tanti musicisti che, nonostante compensi vergognosi, e parlo soprattutto degli amici della scuola di base, continuano a lavorare per far crescere una nuova cultura di una Grande Musica. Non quella inutile di San Remo. Una cultura della Musica prospettata in una dimensione sociale. (...) Perché la cosa straordinaria di questa nostra Scuola, come forse avete potuto intuire anche questa sera, è la testarda volontà di dare a tutti questo grande patrimonio. E a Fiesole abbiamo ampiamente dimostrato di come si può fare egregiamente il musicista e nello stesso tempo laurearsi in matematica, in scienze politiche, in filosofia o in quant'altro. Insomma, questi ragazzi sono giovani che possono dare un contributo costruttivo all'umanità, ma ancora ad ottant'anni non posso rassegnarmi a che troppi siano esclusi dalla grande cultura. Questo è stato sempre il mio cruccio maggiore. Perché io, figlio di povera gente, sono arrivato a suonare gli ultimi Quartetti di Beethoven, mentre milioni di persone si accontentano delle canzoni di San Remo? E' un'ingiustizia sociale, che non riguarda solo la musica, e contro la quale non finirò mai di battermi. Grande fortuna, e grande lezione, è stata per me l'aver lavorato per trentadue anni nel Quartetto Italiano per portare il nostro Paese ad avere qualcosa che potesse bilanciare i fasti del Quartetto di Budapest, del Julliard, dell'Amadeus. Si cercava la perfezione, lavorando con totale dedizione e accanimento e senza mai accontentarsi, perfino negli ultimi anni di vita del Quartetto abbiamo ripreso a studiare il nostro Debussy, vero cavallo di battaglia che avevamo già inciso più volte e l'abbiamo ristudiato nota per nota, attenti all'intonazione come dei principianti."
Queste sono state le sue scelte, la sua filosofia di vita. Nella festosa occasione del novantesimo compleanno (13 gennaio) di Piero Farulli ci piace ricordare la grande lezione di una intera esistenza spesa per la musica e per la sua diffusione a tutti i livelli, affinché sempre più persone ne fossero partecipi. Auguri, maestro!
Fabio Bardelli