Carolina | Veronica Granatiero |
Il signor Geronimo | Salvatore Salvaggio |
Paolino | Matteo Mezzaro |
Il conte Robinson | Alessandro Abis |
Fidalma | Irene Molinari |
Elisetta | Rosanna Lo Greco |
Direttore | Alessandro Bonato |
Regia | Marco Castoldi in arte Morgan |
Scene | Patrizia Bocconi |
Costumi | Giuseppe Magistro |
Luci | Paolo Mazzon |
Orchestra e tecnici dell'Arena di Verona | |
Allestimento del Teatro Coccia di Novara |
Ad inaugurare la rassegna autunnale 2019 “Viaggio in Italia nel tempo e negli stili” della Fondazione Arena di Verona al Teatro Filarmonico (ultima in questa formula perché dal prossimo anno la stessa ha presentato, in conferenza stampa, una programmazione unica da gennaio a dicembre) è stato scelto un titolo impegnativo, Il matrimonio segreto di Domenico Cimarosa: un’opera interessante per la sua miscela di classicità nella costruzione e novità nell’invenzione che può, molto spesso, creare degli insidiosi trabocchetti. Questo tipo di repertorio richiede infatti la scelta di interpreti che uniscano alla bellezza del timbro una tecnica precisa e raffinata quanto in grado di rendere, attraverso agilità e fraseggio, l’assoluta leggerezza di un’opera che sembra delineata dalle stesse semplici silhouette dei personaggi e, sotto questo profilo, l’intero cast, a parte poche eccezioni, si rivelava sostanzialmente carente, pur evidenziando una sensibilità teatrale molto attenta e ben impostata.
La regia (già presentata al teatro Coccia di Novara nel 2012) ideata da Marco Castoldi, in arte Morgan, mostrava altresì più di un motivo d’interesse, valorizzando i chiaroscuri del libretto, tratto da Giovanni Bertati dalla commedia The Clandestine Marriage di George Colman senior e David Garrick, ancor più sottolineati nella partitura di Cimarosa.
In scena spiccano quel tipo di grosse poltrone che fanno sfoggio nei negozi di design, baroccheggianti e dai colori sgargianti ed improbabili, con sullo sfondo una griglia scenica sulla quale spesso si stagliano le ombre di un mondo eterogeneo e stravagante, da noi poi non così lontano. Il palcoscenico è dominato dalle donne e la regia ce le descrive sadiche e capricciose, padrone della moda e del gusto, in un mondo in cui gli uomini cercano invano di portare la banalità di un quotidiano in un luogo lontanissimo dal loro volere e sentire. Gli elementi settecenteschi si rincorrono continuamente in un girotondo colorato in cui domina l’ironia. Crinoline gigantesche a tratti sembrano sommergere i personaggi come vestiti per bambole giganti e le parrucche vengono completamente rilette attraverso quel filo d’acciaio così sottile che lega da sempre l’estetica punk ad una certa frangia eccentrica settecentesca. Il tutto procede con rigore creando, anche attraverso l’attento lavoro con gli artisti, una bella dinamica teatrale.
Come detto, in palcoscenico ciò che sembrava difettare, malgrado il giovane talento e la promettente personalità degli interpreti, era il modo scelto per accostarsi a questo repertorio in cui fraseggio, colori ed accento, oltre ad una naturale disinvoltura nelle agilità, sono fondamentali per una resa teatrale e corretta dei singoli caratteri.
Il soprano Veronica Granatiero metteva in evidenza, quale Carolina, un timbro interessante ed una giusta teatralità, riuscendo sostanzialmente a ben tratteggiare il suo personaggio, così come briosamente delineati apparivano i caratteri del signor Geronimo e del Conte Robinson affidati alle amorevoli cure di Salvatore Salvaggio e Alessandro Abis.
Meno efficaci le prove di Rosanna Lo Greco quale Elisetta e di Irene Molinari quale Fidalma che evidenziavano una vocalità molto morbida ma ancora priva di quella precisione tecnica che permetterebbe loro di descrivere in maniera più approfondita i rispettivi personaggi ed anche Matteo Mezzaro nel ruolo di Paolino non sembrava perfettamente a suo agio con il dettato stilistico che il suo personaggio richiederebbe.
Alla guida dell’orchestra della Fondazione il giovanissimo Alessandro Bonato coniugava la chirurgica misura del suo gesto con una buona compattezza ed omogeneità, ma il percorso resta lungo ed ancora da maturare.
Sala gremita ed un pubblico caloroso per questo allestimento che spero sigli la volontà da parte della Fondazione veronese di creare rete tramite un progetto teatrale che, attraverso la passione e la professionalità di artisti e maestranze, possa finalmente incuriosire e coinvolgere appieno un pubblico (a partire da quello scaligero) che si lasci trascinare da questa inesauribile fonte di giovinezza, libertà e dialogo quale è da sempre il teatro.
La recensione si riferisce alla prima del 27 ottobre 2019.
Silvia Campana