Mario Pagotto | Musiche archetipe |
Paolo Furlani | Riflessi d'architetture liquide |
Hans-Henrik Nordstrøm | Musica dell'acqua |
Dimitri Scarlato | Reconstruction |
Raphaèle Biston | Lignes de fuite |
Ex novo Ensemble | |
Daniele Ruggieri | flauti |
Davide Teodoro | clarinetti |
Carlo Lazari | violino |
Marco Paladin | viola |
Carlo Teodoro | violoncello |
Aldo Orvieto | pianforte |
Nato quasi quarant’anni fa dalla collaborazione tra un gruppo di musicisti e il compositore Claudio Ambrosini, l’Ex novo Ensemble è una formazione variabile e “aperta” che da tempo «rappresenta una realtà di riferimento nel panorama internazionale della musica nuova». Dal 2004 l’Ensembleorganizza a Venezia il Festival Ex Novo Musica, «rassegna di musica contemporanea e nuove forme di spettacolo». Come scrive il fondatore nella pagina di presentazione del sobrio ed esauriente fascicolo-programma, la sua tredicesima edizione è «come le precedenti caratterizzata dalla varietà delle proposte e dall’intento fare incontrare non solo musiche nuove ma anche soltanto “nuove per l’orecchio” perché poco note, o messe in disparte dal tempo e quindi, a maggior ragione, da riscoprire insieme». Quest’anno la rassegna s’articola in diciotto serate tra l’11 settembre e il 20 dicembre ed è realizzata con la collaborazione d’altre importanti istituzioni locali e nazionali, tra cui spiccano la SIAE con il suo Progetto “Classici d’oggi” (venti le prime esecuzioni assolute previste nel Festival, di cui dieci nell’ambito del Progetto) e il Palazzetto Bru Zane - Centre de musique romantique française per due concerti dedicati in toto o in parte alla “riscoperta” di “Camille Saint-Saëns tra Romanticismo e Modernità”, altro Festival veneziano della cui serata inaugurale OperaClick ha riferito un paio di mesi fa.
La sera di giovedí 24 novembre ho voluto assistere all’undicesimo concerto del Festival, dedicato alle prime esecuzioni assolute di cinque pezzi (sarebbero dovuti essere sei, ma l’ultimo è stato rinviato alla prossima edizione) di compositori nati nel trentennio tra il 1947 e il 1977, tutti commissionati da Ex novo musica tranne uno «scritto con il supporto di Danish Arts Foundation». Accomuna questi pezzi una durata intorno ai dieci minuti e la destinazione a organici con la presenza fissa di violino e violoncello, ai quali s’aggiungono quasi sempre il pianoforte e / o strumenti delle famiglie di flauto e clarinetto, cosí da consentire alla loro sequenza di “fare serata” con un numero limitato d’esecutori (cosa in sé ovvia, essendo quasi tutti commissionati dello stesso Ensemble). Volendo, si può vedere in questo una remota sopravvivenza della modalità “produttiva” per cui, ancora un secolo e mezzo fa, le opere nuove commissionate da un teatro per una stagione erano quasi inevitabilmente destinate a un gruppo fisso d’interpreti vocali.
Poiché si parla di compositori contemporanei e della previsione di vitalità delle loro creazioni, mi pare utile ricordare, che delle circa sessantamila opere liriche rappresentate almeno una volta dal 1600 in poi, oggi se ne rappresentano ancora solo poche centinaia, tra le quali solo pochissime decine con grande frequenza. La musica, arte astratta per eccellenza, è infatti arte “del tempo” non solo per la caratteristica della durata, che richiede la mediazione dell’interprete e l’accomuna alla danza e al teatro di parola, in contrapposizione all’istantaneità delle arti “dello spazio” (pittura, architettura e scultura, presenti simultaneamente nella loro interezza all’osservatore), ma anche nel senso, del tutto “improprio” ma a mio parere significativo, che la sua intrinseca astrazione, cioè l’inesprimibilità letteraria del suo “messaggio”, comporta la necessità di un intervallo di tempo spesso molto lungo perché si realizzi un consenso condiviso sul suo valore. Anche se costituiscono oggi la quasi totalità del cosiddetto “grande repertorio”, non sono molto frequenti, infatti, le composizioni che furono apprezzate al loro apparire come le apprezzeranno i posteri; come si dice nel gergo degli storici delle arti, la “fortuna” di un’opera oggi in auge ha molto spesso conosciuto delle latenze sconcertanti, laddove non soltanto i “fiaschi” scomparsi dal cartellone dopo una sera, ma soprattutto tanti lavori che alla loro comparsa erano stati osannati come capolavori dal grande pubblico e / o dai connaisseurs loro contemporanei, non hanno poi resistito al dente degli anni.
Queste considerazioni apparentemente cosí “fuori tema” dovrebbero essere sempre tenute presenti quando s’ascoltano composizioni nuove e le si vogliono “giudicare”. A me pare del tutto naturale che la probabilità oggettiva d’imbattersi in una musica nuova destinata a durare non sia per nulla alta, proprio come non lo è mai stata per i nostri antenati delle cosiddette “età d’oro”, ma proprio questo implica che l’esecuzione delle musiche nuove dev’essere facilitata, non boicottata o “ghettizzata”. Un criterio possibile di valutazione “a botta calda”, anche se piuttosto estrinseco, è quello di basarsi sul “desiderio di riascolto”, essendo in generale, con buona pace di tutti, la struttura d’un’opera nuova e di valore, originale e pertanto incomprensibile ai contemporanei (basti considerate che cosa si legge sulla “ricezione” dei maggiori quartetti di Mozart e di Beethoven e confrontarlo con gli osanna retrospettivi sulla “perfezione” delle loro composizioni giovanili o di quelle di loro colleghi oggi improponibili causa noia. Taccio degli sberleffi di Hanslick al Liszt compositore, a Wagner e a Bruckner, dei sarcasmi del nostro maggiore poeta del Novecento sul «pestilenziale» Boulez…).
Delle musiche ascoltate non tesserò quindi agiografie, né le fulminerò d’anatemi, ma dirò solo che i lavori di Pagotto e Furlani riutilizzano la tradizionale divisione in brevi movimenti (rispettivamente quattro e tre) con le alternanze agogiche ed espressive delle composizioni “classiche” (anche se, per nostra e loro fortuna, il “vocabolario” e la “grammatica” sono aggiornati), riuscendo quindi piú immediatamente fruibili dall’ascoltatore purtroppo avvezzo ad ascoltare quasi solo musiche di secoli fa. I lavori di Nordstrøm, Scarlato (il più breve dei cinque) e della Biston sono in un movimento unico (anche se Lignes de fuite appare chiaramente articolata in diverse sezioni). Per rispondere alla mia stessa domanda, senza dubbio molto superficiale: quali Autori m’attrarrebbe maggiormente risentire, direi Pagotto, Scarlato e la Biston.
Incondizionatamente e indistintamente da elogiare è poi la bravura degli esecutori del concerto del 24 novembre, tra i quali, nei quattro casi su cinque in cui era presente, il flautista Daniele Ruggieri m’è sembrato svolgere il ruolo di coordinatore dell’insieme. Alla fine della serata, la mia prima osservazione è stata che mezzo secolo fa l’approccio alle musiche nuove, o anche a quelle del Novecento che allora s’iniziava a chiamare “storico”, era molto più esteriore, più scolastico, più rigido: spesso non s’ascoltava musica in senso proprio, ma una sequenza precisa e fredda di “suoni”. Solo con l’avvento d’una generazione di grandi direttori e cameristi (e qui, cascami lingua, devo ancora una volta ricordare l’antesignano Bruno Maderna, con il quale invece, “da sempre”, tutto “cantava” e riusciva conseguente) le musiche “moderne” divennero molto spesso, emozionanti. I sei esecutori dell’Ex novo Ensemble hanno dimostrato d’avere trovato un discorso continuativo nei pezzi che eseguivano, e d’avere conferito grande risalto alle cellule melodiche e al gioco drammatico delle loro contrapposizioni.
Il pubblico, un centinaio di persone o poco più, tra le quali molti stranieri, ha accolto tutti i pezzi con simpatica cordialità, accentuata alle comparse degli Autori, premiando forse quello della Biston (non perché fosse l’ultimo: infatti l’annuncio iniziale, in italiano, che non sarebbe stato eseguito il sesto pezzo in programma, quello non ancora pronto di Michele dall’Ongaro credo fosse riuscito incomprensibile alla maggior parte dei presenti, che insolitamente a lungo non manifestavano intenzione alcuna d’uscire dalla sala…).
(La recensione si riferisce al concerto del 24 novembre 2016.)
Vittorio Mascherpa