Tosca | Francesca Tiburzi |
Cavaradossi | Luciano Ganci |
Scarpia | Leo An |
Angelotti |
Zoltán Nagy |
Sagrestano | Dario Giorgelè |
Spoletta | Motoharu Takei |
Sciarrone |
Fumiyuki Kato |
Carceriere | Giovanni Palumbo |
Direttore | Fabrizio Maria Carminati |
Regia, scene, costumi e luci | Hugo de Ana |
I piccoli cantori della città di Trieste" diretti dal M° Cristina Semeraro |
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Orchestra, Coro e Tecnici del Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste | |
Perfino con un personaggio generoso e virile come Cavaradossi, anche la Tosca è un’opera che, sotto il profilo drammatico, offre il meglio con la coppia soprano-baritono. Ed è così che, in una recita come quella di sabato al Verdi dominata da Luciano Ganci, l’intensità generale dell’interpretazione lasciava tuttavia troppo a desiderare, e la coppia Vassileva-Veccia della prima compagnia, pur non in gran forma vocale, mostrava, nel confronto, il suo valore.
Ganci è un tenore che, oggi, dovrebbe stare nella prima compagnia di quasi qualsiasi produzione. Il suo percorso è tipico: lirico puro, di voce bella e ben impostata, ha scelto di insistere con il repertorio più spinto, sacrificando qualcosa della notevole tecnica e sforzando qua e là, con qualche piccolo inciampo (il “tu” finale di Recondita armonia di sabato, per esempio). Il repertorio verista, si sa, ha rappresentato la rovina per più di qualcuno; ma non sembra che questo possa dirsi del Ganci presente, né, speriamo, del Ganci futuro. La prima ottava non è la migliore, ma c’è; il passaggio richiede sempre un piccolo appoggio intermedio di effetto per la verità non sgradevole, come un trampolino di lancio per le sue note più belle, tra il sol e il si, di limpidezza, squillo e colore che, appunto, si cercherebbero invano in quasi tutti i tenori in circolazione. La dizione è molto pulita e l’interprete è efficace tranne quando, come dicevo, chiede un po’ troppo sotto il profilo vocale, spoggiando la voce quando basterebbe fare tutto facile. E per una voce facile e naturale come la sua, sarebbe un gioco da ragazzi.
Paradossalmente è proprio nel secondo atto che Ganci, forse, dà il meglio: proprio quando, cioè, la scena è tutta della coppia Tosca-Scarpia. Sennonché, anche per meriti vocali ma non solo, Ganci è stato l’unico della serata a trovare la giusta varietà di accenti. Francesca Tiburzi, cantante seria e intelligente, pecca ancora di un tono troppo monocorde: la sua Tosca è sempre sul punto di uccidere Scarpia, anche quando ricorda la casetta che condivide col suo amante nel primo atto. Una sorta di cipiglio, di cruccio nell’espressione e nella voce, pur stabile e non male impostata, compromette in lei un’interpretazione veramente ricca; forse manca ancora un carattere teatrale ben formato. Nessun intoppo per lei, che ha nei centri le sue maggiori virtù: non manca, comunque, un bel tributo da parte del pubblico alla fine – ma del resto, in un’opera coma Tosca, per di più in un sabato sera piuttosto affollato di turisti, quale pazzo non sarebbe felice al termine di un simile capolavoro?
Tant’è che anche Leo An esce dalla serata piuttosto bene. Il cantante coreano è dotato di una voce con qualche qualità, anche se il vibrato si infittisce tra primo e secondo atto e alla fine sembra piuttosto stanco. Scarsetta la prima ottava, più sicura la seconda, il volume è discreto e la dizione molto buona. Il problema è che Leo An è simpaticissimo. Gli si vuol bene a prima vista: è lui il buono della Tosca, non c’è dubbio. Il viso, l’espressione, l’attitudine del corpo, lo rendono lo Scarpia più dolce di sempre. Il che ci insegna, una volta di più, che la bravura e la professionalità di un cantante (An ha studiato molto bene la parte, sa sempre quello che dice e gli accenti sono, sulla carta, tutti giusti), tutte le virtù che uno Scarpia deve esibire, non possono costituire una pur solida corazza, ma devono avere qualcosa di interiore, di naturale, che spesso ai cantanti di altre culture sfugge. Leo An è una macchina ben oliata che non si sa bene quale strada prenda, e il suo Scarpia canta tutte le note come se fossero ancora scritte sulla partitura, non vissute (e qui, la direzione non proprio elastica di Carminati non aiuta). Del resto della compagnia è già stato scritto da Paolo Bullo. Austriaci felici, se poi vengono a giugno e al secondo intervallo c’è ancora luce si sentono proprio a casa e sono pronti a celebrare il trionfo.
La recensione si riferisce alla recita di sabato 10 giugno.
Lorenzo De Vecchi