Conte d'Almaviva | Giorgio Misseri |
Bartolo | Domenico Balzani |
Rosina | Aya Wakizono |
Figaro | Mario Cassi |
Basilio | Giorgio Giuseppini |
Berta | Maria Cioppi |
Fiorello | Giuliano Pelizon |
Un ufficiale | Hector Leka |
Direttore | Francesco Quattrocchi |
Maestro del Coro | Francesca Tosi |
Regia | Giulio Ciabatti |
Scene | Aurelio Barbato |
Orchestra e Coro del Teatro Giuseppe Verdi di Trieste |
Dopo una Zauberflöte la cui regia ha provocato qualche metaforico mal di pancia di troppo al pubblico triestino, la programmazione del Verdi è ripresa con una nuova produzione del Barbiere di Siviglia di Rossini.
Opera amata a tutte le latitudini, popolare nella migliore accezione del termine e costantemente tra le più rappresentate al mondo, l’opera buffa del Pesarese è stata proposta nell’interpretazione di Giulio Ciabatti che ha inaugurato nello scorso settembre la Dubai Opera.
Persona di gran gusto e cultura, il regista triestino ha optato per un allestimento che si rifà alla tradizione del Teatro delle Maschere (Molière è citato apertamente) e agli archetipi della Commedia dell’Arte, ripulendo però i personaggi da certi eccessi che spesso trasformano il nobile filone dell’opera buffa in una farsa scollacciata. Bandita perciò ogni volgarità e attenzione invece alla recitazione dei singoli e, soprattutto, alle interazioni tra i protagonisti in modo che la vicenda si svolga scorrevole e fluida. Parafrasando le parole del regista, la scenografia un po’ datata di Aurelio Barbato più che descrivere evoca uno spazio scenico, in cui sono i costumi a connotare temporalmente l’ambientazione. L’allestimento è agile, elegante e forse potrebbe essere valorizzato ulteriormente con delle luci più incisive.
Francesco Quattrocchi, alla guida di un’Orchestra del Verdi brillante in tutte le sezioni, nell’ambito di una prestazione positiva è sembrato più attento a far quadrare il cerchio che a lasciare un’impronta personale alla briosa partitura. Una direzione che è parsa a volte eccessivamente trattenuta e timorosa nelle dinamiche ma che ha avuto il pregio di sostenere i cantanti senza sovrastarli con sonorità eccessive. Ben riuscito il temporale, tra le altre cose.
Non è consueto in sede di recensione, ma mi preme segnalare un sensatissimo intervento del direttore nel libretto di sala, in cui dimostra di avere una visione del teatro lirico moderna e libera da pruderie filologiche.
Deliziosa la Rosina di Aya Wakizono, mezzosoprano di indubbie qualità tecniche e timbro gradevole, adatto a esprimere la civetteria e la scaltrezza di una ragazza giovane e vitale, che aspira a ben altro che alle cure di un anziano permaloso e cocciuto. Musicalissima, disinvolta in scena e spiritosa, l’artista si è fatta apprezzare anche per la pronuncia e la dizione.
Molto bravo anche Giorgio Misseri, che tratteggia con gusto un Almaviva virile, espressivo e nobile. La Serenata iniziale è stata affrontata – giustamente - con un minimo di prudenza ma poi il tenore ha confermato di essere uno specialista di queste parti da amoroso, grazie a una tecnica che gli consente un ottimo legato e acuti penetranti. Peccato per il taglio del Rondò Cessa di più resistere, probabilmente concordato col direttore.
Vulcanico il Figaro di Mario Cassi che interpreta la parte dell’importuno factotum con energia e brillantezza. Da segnalare che l’artista è subentrato quasi in extremis in questa produzione, eppure si è inserito bene nella compagnia artistica. Dotato di buon volume e acuti facili, il baritono ha fornito una prova convincente.
Buona anche l’interpretazione di Domenico Balzani, Don Bartolo giustamente bilioso e comicamente collerico, a proprio agio nel vertiginoso sillabato rossiniano e padrone dei tempi comici dell’opera buffa che non ammettono esitazioni.
Giorgio Giuseppini dà voce a un godibilissimo ed empatico Don Basilio, personaggio a mio parere di straordinaria attualità. L’artista, ormai presenza fissa al Verdi – ed è un bene – ha mestiere e mezzi vocali non comuni. La sua calunnia ha conquistato il pubblico triestino.
Adeguata e agile in scena Maria Cioppi nei panni di Berta e molto bravi e mai troppo lodati Giuliano Pelizon (ottimo Fiorello) e Hector Leka, solido ufficiale che si concede una scappatella con la servetta Berta.
Bene si comporta il Coro (maschile), che si disimpegna egregiamente anche in scena.
Teatro affollato, ma non così pieno come sarebbe stato auspicabile. Significativa presenza di una bella gioventù che insieme ai più maturi frequentatori abituali ha tributato a tutta la compagnia artistica un successo pieno e meritato.
Si replica sino a sabato prossimo, consiglio di non perdere questa bella produzione.
La recensione si riferisce alla prima del 10 febbraio.
Paolo Bullo