Aida | Svetlana Kasyan |
Amneris | Anastasia Boldyreva |
Radamès | Gianluca Terranova |
Amonasro | Andrea Borghini |
Ramfis | Cristian Saitta |
Il Re | Fulvio Valenti |
Un messaggero | Blagoj Nacoski |
Una sacerdotessa | Rinako Hara |
Direttore | Fabrizio Maria Carminati |
Regia | Katia Ricciarelli e Davide Garattini Raimondi |
Scene e luci | Paolo Vitale |
Costumi | Teatro di Odessa, ripresi da Giada Masi |
Movimenti scenici e assistente alla regia | Anna Aiello |
Coreografie | Morena Barcone |
Assistente alle coreografie | Angelo Melolascina |
Maestro del coro | Francesca Tosi |
Orchestra, coro e tecnici della Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste con la partecipazione del coro e del corpo di ballo del Teatro di Odessa |
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Mi piace considerare Giuseppe Verdi come il cantore della diversità, per il grande coraggio che dimostrò nel mettere in scena le vicende dei dropout: Violetta, Rigoletto, Azucena, Otello, Alvaro, per certi versi anche Falstaff e sicuramente Aida. Sono personaggi che si muovono in contesti verticistici, geometrici e claustrofobici disegnati dal potere, dalla borghesia, dal rango sociale, dalla famiglia. Ambienti discriminatori in cui le condizioni di puttana, gobbo, zingara, negro, meticcio, schiava o, semplicemente, anziano, sono di per sé motivo di dileggio, di disapprovazione ed emarginazione. Un mondo in bianco e nero, dove torto e ragione sono distinti – in teoria – in modo netto e inequivocabile. Ma sono proprio i contatti, le relazioni pericolose tra questi due mondi a creare quei cortocircuiti che attraggono l’attenzione di Verdi e ne scatenano la creatività compositiva.
Aida si può definire un’opera paradigmatica della produzione verdiana, che ovviamente dagli anni di galera in poi è andata maturando nutrendosi di stimoli e suggestioni molteplici, ma ha sempre conservato l’urgenza di una drammaturgia stringente e di una narrazione teatrale serrata.
La scelta, per molti aspetti intelligente e lungimirante, di proporre Turandot e Aida in due giorni ha penalizzato pesantemente l’opera verdiana, che è stata presentata in un allestimento davvero modesto, sempre affidato alla regia di Katia Ricciarelli e Davide Garattini Raimondi.
Sullo sfondo del palco era collocato lo stesso enorme pannello riflettente già visto in Turandot ma, in questo caso, elementi scenici e costumi erano così scontati e sciatti da farmi pensare che vederli solo una volta fosse più che sufficiente. Una specie di perversa metafora del ritratto di Dorian Gray, in cui però a invecchiare per l’angoscia era lo spettatore. Non so descrivere l’imbarazzante scena che apriva il terzo atto, con degli arbusti (i palmizi indicati nel libretto, immagino) che ricordavano a tratti delle siepi malconce e altri una coltivazione artigianale di pomodori. Le altre scene erano ispirate, seppure al ribasso, all’iconografia più classica dell’Aida di tradizione. Le coreografie hanno sofferto non tanto di piattezza quanto di un corpo di ballo che non riusciva ad andare in sincrono neanche per scommessa, con l’eccezione di alcune ballerine adolescenti o giù di lì. Ed è strano, perché provenivano dal teatro di Odessa, dove la preparazione nella coreutica dovrebbe essere consolidata.
Per fortuna la parte musicale è stata decisamente più convincente, con qualche doveroso distinguo.
Molto buona la direzione di Fabrizio Maria Carminati, attenta a evitare certi clangori, anch’essi “di tradizione” nei momenti più solenni dell’opera, come la Marcia trionfale. Già dal Preludio, ben calibrato nelle dinamiche, si è notata un’inconsueta raffinatezza. Nell’arco dell’opera si è manifestato qualche minimo scollamento col palcoscenico – del resto giocoforza le prove sono state poche – ampiamente compensato da una brillante gestione dei tempi e dei mille colori della straordinaria partitura verdiana, che vive di impalpabili atmosfere notturne e di tormentate riflessioni. In questo senso, al netto di qualche imprecisione che nella musica dal vivo c’è sempre, ancora una volta è sembrata eccellente l’Orchestra del Verdi.
Gianluca Terranova era negli ingrati panni di Radamès, una delle parti tenorili più difficili in assoluto, e nel complesso la sua prestazione è stata discreta, anche se qualche tensione è emersa soprattutto nella sortita. Buono senza riserve, invece, l’accento e apprezzabili sia il fraseggio sia la presenza scenica.
Aida è stata interpretata con generosità da Svetlana Kaysan, al debutto a Trieste e arrivata last minute in sostituzione di un’altra collega. Il soprano, nell’ambito di una prestazione positiva, ha palesato un notevole volume – nei concertati spiccava nettamente – e un registro centrale vigoroso, ma la dinamica è sembrata limitata, circostanza che non le ha consentito di tratteggiare il personaggio in tutte le sue sfaccettature.
Molto centrata l’interpretazione di Anastasia Boldyreva, Amneris ferina e al contempo fragile vittima della propria devastante gelosia. La linea di canto, nonostante gli acuti suonino metallici, è omogenea anche nelle discese ai gravi e la voce ha un colore gradevole schiettamente mezzosopranile. Ottimo il rendimento nel fondamentale quarto atto, in cui ha fatto valere anche l’imponente presenza scenica.
Il baritono Andrea Borghini, Amonasro, è stato protagonista di una discreta prova, alternando qualche accento un po’ troppo greve ad altri più sfumati ed espressivi.
Solido ed efficace, Cristian Saitta ha ben delineato un autorevole Ramfis con la sua piacevole voce di basso.
Una nota calante non ha inficiato il rendimento complessivo di Fulvio Valenti (Il Re), mentre positive sono sembrate le prove del tenore Blagoj Nacoski nell’insidiosa parte del Messaggero e di Rinako Hara (Sacerdotessa).
Il Coro, con l’aggiunta di alcuni elementi del Teatro dell’opera di Odessa, è risultato meno compatto del solito ma pur sempre più che sufficiente.
Teatro gremito, che ha accolto con grandi applausi tutta la compagnia artistica e ha tributato un trionfo a Fabrizio Maria Carminati e ad Anastasia Boldyreva.
Credo sia doveroso chiudere con un ringraziamento a tutte le maestranze del teatro triestino, che hanno reso possibile col loro impegno la realizzazione di questa specie di monumentale dittico Turandot/Aida.
La recensione si rfierisce alla recita del 1 dicembre 2019.
Paolo Bullo