Le Marquis de la Force | Jean-François Lapointe |
Blanche de la Force | Isabel Leonard |
Le Chevalier de la Force | David Portillo |
Le père confesseur du couvent | Tony Stevenson |
Javelinot | Paul Corona |
Madame De Croissy | Karita Mattila |
Madame Lidoine | Adrianne Pieczonka |
Mère Marie | Karen Cargill |
Sœur Constance | Erin Morley |
Mère Jeanne | Tichina Vaughn |
Sœur Mathilde | Emily D'Angelo |
Thierry | Eduardo Valdes |
Le geôlier | Patrick Carfizzi |
1er Commissaire | Scott Scuilly |
2ème Commissaire | Richard Bernstein |
Direttore | Yannick Nézet-Séguin |
Regia | John Dexter |
Scene | David Reppa |
Costumi | Jane Greenwood |
Luci | Gil Weechsler |
Maestro del Coro | Donald Palumbo |
The Metropolitan Opera House Orchestra and Chorus |
Quando si dice “portare bene gli anni” o “fare di necessità virtù” si usano frasi fatte e trite, che però talvolta colgono nel segno. Come per il revival della produzione di John Dexter dei Dialogues des Carmélites a New York, uno spettacolo datato 1977 che però “datato” non pare affatto nella sua austera e algida eleganza. Erano anni di austerity e persino il Met proponeva allestimenti meno fastosi e ingombranti rispetto alla propria tradizione. Ma proprio il fare di necessità virtù, se dietro c'è talento e mestiere, fa scaturire a volte opere dell'ingegno non solo ben riuscite, ma anche capaci di reggere meglio di altre il trascorrere del tempo. Così per questi Dialogues, dove gli orpelli (che più sono e più facilmente invecchiano) sono ridotti al minimo e la regia si concentra sulla psicologia dei personaggi e sull'intreccio di relazioni che si creano tra gli stessi, in una caratteristica scena lignea inclinata a forma di croce creata da David Reppa. All'apertura del sipario le suore appaiono prive di vita e distese a terra, così come la tradizione più recente, evocando soltanto il triste percorso verso la ghigliottina, le fa spesso idealmente terminare nelle ultime battute dell'opera. Qui il regista anticipa la tragica fine delle Carmelitane presentandole come corpi già martirizzati e forse anime volte al cielo. Uno spettacolo che nella sua sobria essenzialità potrebbe passare per una produzione contemporanea, di quelle che definiremmo tradizional-minimaliste.
Il versante musicale è caratterizzato dalla direzione di classe di Yannick Nézet-Séguin, il quale non cerca facili effetti o gigantismi sonori che pure una lettura superficiale della partitura suggerirebbe. Anche sul podio less is more e la ricerca della drammaticità avviene con dosaggio minimo di decibel, senza nulla perdere in termini di passo teatrale. Quello che si ammira maggiormente nel direttore canadese, qui come anche nell'Otello newyorkese che si recensì nel 2015, è la capacità di conferire trasparenza e nitidezza al tessuto orchestrale, quasi facendo ascoltare ogni singolo strumento.
La visione direttoriale di Nézet-Séguin è assecondata da un cast omogeneo, dove ha modo di mettersi in luce il timbro personale di Isabel Leonard, che di Blanche de la Force mette più in evidenza il lato tormentato e volitivo rispetto a quello più timoroso e dolce, così che ancora più spiccato del solito è il contrasto con la fragilità di Constance, qui interpretata con voce chiara e accenti delicati da Erin Morley.
Adrianne Pieczonka presta la sua robusta vocalità a Madame Lidoine, Karen Cargill è una Mére Marie non proprio impeccabile vocalmente ma dalla sufficiente autorevolezza. Ritroviamo una vecchia conoscenza areniana come Tichina Vaughn a dare robusta e convincente incarnazione a Mère Jeanne.
Il nome più altisonante tra quelli in locandina era comunque quello di Karita Mattila nelle vesti di Madame de Croissy, ruolo teoricamente di contralto, ma (troppo) spesso assegnato a cantanti di tutte le corde che hanno passato da tempo gli anni migliori, ma che restano sulle scene a testimonianza della loro (presunta) grande personalità interpretativa. Questa prassi esecutiva (che dal punto di vista musicale nasce male sulla carta, perché un soprano agé non diventa un mezzo-soprano e tanto meno un contralto) può andar bene in presenza di belve da palcoscenico come Anja Silja, che vocalità impeccabile non hanno mai avuto e il cui ricorrere a suoni rochi nelle discese nel registro grave non disturba più di tanto. Il gioco sembra non funzionare nelle prime frasi pronunciate dalla Mattila, dall'intonazione a dir poco precaria e dall'ottava inferiore risolta con aperture di suono quasi grottesche. Invece, con l'andare avanti della scena della morte - potenza della scrittura formidabile di Poulenc che ha creato un ruolo gigantesco, merito di uno strumento provato e recalcitrante che però riesce a scaldarsi e mettersi a fuoco, potere del carisma che il soprano finlandese è riuscito a costruirsi nel tempo - il personaggio viene centrato, potente e drammatico come ci si attende.
Tra gli interpreti maschili è preciso e pulito il Marquis de la Force di Jean-François Lapointe e molto ben cantato e caratterizzato il Chevalier de la Force di David Portillo, dalla voce di bel timbro.
Cast, tutto pemiato da caldi applausi, completato adeguatamente dal padre confessore di Tony Stevenson, dal Javelinot di Paul Corona, dalla Soeur Mathilde di Emily D'Angelo, dal Thierry di Eduardo Valdes, dal carceriere di Patrick Carfizzi e dai commissari di Scott Scully e Richard Bernstein.
La recensione si riferisce alla recita del 3 maggio 2019.
Fabrizio Moschini