Direttore | ||
Roberto Festa | ||
Soprano | Monika Mauch | |
Tenore | Marco Beasley | |
Tenore | Josep Benet | |
Baritono | Josep Cabré | |
Daedalus Ensemble | ||
Prologo | Giulio Cesare Barbetta, Adriano Banchieri |
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La Morenica | Anonimi | |
Il Primo Innamorato, ossia l'Ingenuo | Anonimo, G.D. del Giovane da Nola, Anonimo |
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Intermezzo turchesco | Giulio Cesare Barbetta, Anonimo | |
L'Amante Ingannato, ossia l'Amarezza dell'Amore |
Anonimo, Perissone Cambio, Anonimo |
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Trionfo dell'Amore | Anonimo, Andrea Falconieri, Orlando di Lasso |
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Raccomandazione: Non innamorarsi |
Anonimo, Giulio Cesare Barbetta |
“Tra cielo e inferno” ti cacciano spesso la passione d’amore e le situazioni che ne derivano... Grazie alla bravura e alla competenza di Roberto Festa, del Daedalus Ensemble (sette musici con tre viole da gamba, due chitarre, liuto, colascione, oud, percussioni) e di quattro straordinari cantori (la tedesca Monika Mauch, l’anglo-napoletano Marco Beasly, i catalani Josep Benet e Josep Cabré) abbiamo trascorso una serata piacevolissima ascoltando musiche varie, d’Autore e d’anonimi, datate tra il 1537 e il 1616, nella solenne ma cordiale Sala spagnuola del Castello di Ambras, antica residenza dei conti e poi degli arciduchi del Tirolo.
Il gruppo strumentale è di fondazione elvetica e dal 1986 vanta una tradizione che consente di realizzare una perfetta unità d’intenti con una sbrigliata fantasia timbrica e una rara naturalezza di dinamiche. Il maestro Festa presenta il programma, alternando tedesco, italiano e inglese; i vocalisti, sicurissimi e spontanei, cantano assolo, a due, a tre e a quattro. Marco Beasly si fa carico delle “declamazioni” d’argomento amoroso, che conformemente a quanto indicato nelle raccolte del più celebre degli autori eseguiti, Orlando di Lasso, s’intercalavano anche in origine tra i pezzi musicali.
Le “moresche” furono danze vocali e strumentali che si diffusero in tutt’Europa a partire grosso modo dall’inizio del Quattrocento, quando la Reconquista spagnuola era ormai irrefrenabile. Negli stessi anni, la Napoli aragonese praticava la “moresca” come una forma di spettacolo danzato. Un secolo dopo, gli scambi culturali tra penisola iberica, penisola italiana, zona orientale alpina, valle del medio e basso Reno erano stati enormemente accelerati dalla crisi dell’indipendenza italiana e dal travolgente ingrandimento dei domini asburgici, e anche la circolazione di musici e musiche aveva assunto uno slancio imprevedibile. Le moresche continuavano ad avere un significato particolare, non più solo come danza di spettacolo, ma come intrattenimento popolare, di corte, di società , di carnevale, di buffoni, d’acrobati itineranti e persino come occidentali “sagre della primavera”.
Così un Giulio Cesare Barbetta, liutista padovano, include numerose “moresche” nella sua Intavolatura del liuto, pubblicata nel 1585. Roberto Festa le dispone in apertura, intermezzo e chiusura del suo spettacolo in un prologo, cinque scene e un epilogo, illustrante diverse stazioni della passione amorosa, con la raccomandazione finale, saggia e inutile, di non innamorarsi… Di carattere prevalentemente lirico e patetico sono le canzoni eseguite, con un capolavoro d’efficacia ironico-drammatica come Gli amanti morescano sùbito dopo il primo pezzo strumentale della serata: ne fu autore il grande Adriano Banchieri, frate olivetano molto addentro “e degli vizi umani e del valore”, a cui si devono un fondamentale inventario degli organi d’Italia e quell’irresistibile “commedia in madrigale”, La pazzia senile, che nel 1598 sorride ormai a ridosso della nascita ufficiale dell’opera. Gli amanti morescano è parte di un’altra raccolta di musiche del Banchieri, il Festino nella sera del giovedì grasso avanti cena (1608), non meno ricca d’invenzione musicale.
Seguono canti di gioia, speranza, ripicca e delusione, spesso anonimi, talvolta di raffinata creazione colta, con punte indubbie d’espressione in St’amaro mio core è diventato di Giovanni Domenico dal Giovane da Nola, che nella parte strumentale quasi contiene un’anticipazione della “musica concreta”, con l’ossessivo battere dell’orologio; o di sottile scienza compositiva nel più ampio pezzo d’Orlando di Lasso ‘Sto core mio se fosse di diamante. Libri e manoscritti di villanelle, villotte, canzoni, canzoni villanesche offrono un’ampia scelta di situazioni emotive, che i quattro cantori portano a espressione talora struggente, talora disincantata e quasi sarcastica, sempre con grandissima attenzione al rigore esecutivo e alla qualità musicale dei testi, in maggior parte anonimi e per lo più in dialetti vicini al partenopeo, che gl’interpreti sembrano conoscere assai bene.
Alla fine lunghi applausi del pubblico che esauriva la sala e ripetizione del bel pezzo di Giovanni da Nola.
La recensione si riferisce al concerto del 19 agosto 2018.
Vittorio Mascherpa