Pianista | Grigory Sokolov |
Ludwig van Beethoven | |
Sonata in do maggiore op. 2 n. 3 | |
Undici Bagatelle op. 119 | |
Johannes Brahms | |
Sei Klavierstückeop. 118 | |
Quattro Klavierstücke op. 119 |
Chiusura in grande stile della stagione degli Amici della Musica che, in collaborazione con il Maggio Musicale, propongono un recital del celebre pianista russo, ormai quasi settantenne, Grigory Sokolov.
Il programma è apparentemente frammentario, e già ad una prima occhiata colpisce per il coesistere di due brani contrassegnati col numero d'opus 119, le Undici Bagatelle beethoveniane e i Quattro Klavierstücke di Brahms. Casualità o piuttosto impaginazione ricercata e voluta, visto che Sokolov prepara con meticolosità il programma dei suoi recital con moltissimo anticipo portandolo in giro per il mondo per cinque-sei mesi?
Certo la frammentarietà dell'impaginato salta subito all'occhio, con “solo” una sonata completa, l'op. 2 n. 3 di Beethoven, scritta attorno al 1795 ed apparentemente neppure del Beethoven più interessante e maturo.
Invece Sokolov ce lo fa apparire quasi tale, con una scorrevolezza di fondo che mai tralascia clarté e nuances, ed il secondo movimento Adagio (cesellato con particolare intensità) appare solo come un tassello del percorso intimo e di interne corrispondenze che il pianista vuole additare.
Il discorso sembra farsi ancora più stringente con le Undici Bagatelle op, 119 che ricevono unità dal pianismo solido di Sokolov e dal suo nitore di suono, e ciascuna risalta (anche singolarmente intesa) nei suoi precipui diversi caratteri, ora deciso ora meditativo.
Ma è in Brahms che il pianista russo sciorina le sue carte migliori, il fraseggio si fa libero ed irresistibile: la musica è rapsodica e ben sbalzata, ma con pagine dai colori bellissimi ed intensi, di un lirismo che talora pare ripiegarsi su se stesso ma sempre attentamente virile. La mano destra canta con libertà ed emoziona, e questa ci sembra la risposta migliore a chi afferma che Sokolov è solo tecnica.
Sia i Sei Klavierstücke op. 118 che i Quattro Klavierstücke op. 119 di Brahms non danno mai l'idea dell'eterogeneità (che pure è un dato obiettivo) ma di un blocco senza cadute di tensione quasi che le varie pagine siano facce della stessa medaglia, un blocco dalle interne corrispondenze che Sokolov cerca di additare al pubblico e che è fatto di colori, di accensioni che si ripetono, di fraseggi rubati, il tutto unito al perfetto dominio della tastiera e dei suoi piani sonori da parte del pianista apparso in gran forma.
Semmai il tocco appare forse un poco più arido che in altre occasioni, ma potrebbe dipendere dall'acustica un po' secca della sala alla quale si è cercato di ovviare con un grande paravento posto dietro lo strumento, nell'intento forse anche di “raccogliere” un po' più il suono.
Il folto pubblico è stato al gioco lasciandosi perfettamente conquistare da Sokolov, che ai trionfali applausi ha risposto con la consueta caterva di sei bis, uno più bello ed emozionante dell'altro.
La recensione si riferisce al concerto del 7 giugno 2019.
Fabio Bardelli