Alaide | Daniela Schillaci |
Isoletta | Sonia Fortunato |
Arturo | Emanuele D'Aguanno |
Il barone di Valdebu | Enrico Marrucci |
Osburgo | Riccardo Palazzo |
Il signore di Montolino | Alessandro Vargetto |
Il Priore degli Spedalieri | Maurizio Muscolino |
Regia | Andrea Cigni |
Scene | Dario Gessati |
Costumi | Tommaso Lagattolla |
Luci | Fiammetta Baldiserri |
Direttore d'orchestra | Sebastiano Rolli |
Maestro del coro | Ross Craigmile |
Coro e Orchestra del Teatro Massimo Bellini di Catania |
La Straniera, quarta opera di Vincenzo Bellini, composta per il Teatro alla Scala dove debuttò nel 1829, apre la stagione 2017 del teatro lirico catanese a lui intitolato. La proposta di un’opera poco rappresentata, ancorché sperimentale nel catalogo del compositore siciliano, si lega alla recente pubblicazione in edizione critica della partitura originaria curata da Marco Uvietta per conto di Casa Ricordi, qui messa in scena.
L’interesse principale stava proprio nell’ascoltare la versione primigenia, scritta da Bellini per il soprano francese Henriette Méric-Lalande e, a malincuore, per il tenore Domenico Reina, nell’impossibilità di avere Giovan Battista Rubini già impegnato al San Carlo di Napoli. Di fatto, la ripresa dell’opera andò in scena nella stagione scaligera successiva con sostanziali modifiche alla parte del protagonista, basate su un innalzamento della tessitura e su una riscrittura di ampie porzioni della scena e duetto tra Arturo e Valdeburgo. Oggi l’edizione critica a stampa a cura di Uvietta prevede sia ciò che in ambito germanico sarebbe definita Ur-Straniera, che la versione Rubini.
Lo sperimentalismo belliniano, ben presente in questa sua creatura, va essenzialmente nella direzione di un avvicinamento tra recitativo ed aria, a favore di una scrittura vocale declamatoria e in puro stile romantico. La vicenda, tratta dal romanzo L’étrangère di Prévost d’Arlincourt, intrisa di mistero in puro stile gotico oltre che oscura, ruota attorno alla misteriosa figura, negletta e guardata con sospetto, di Alaide che si rivelerà essere la Regina Agnese, moglie ripudiata di Filippo II di Francia, richiamata al trono nel finale dell’opera. Tra equivoci, amori non corrisposti e duelli di prammatica la trama offre tutti gli elementi cardine dell’opera romantica che ritroviamo nella costruzione registica di Andrea Cigni, realizzata per il teatro catanese. Peccato che tale pregevole allestimento sia stato funestato da una serie lunghissima di cambi del cast dovuti forse alla sua caratteristica precipua: la presenza di acqua non riscaldata. In palcoscenico ritroviamo infatti una superficie lacustre attorno, ma anche e soprattutto dentro la quale agiscono i personaggi e persino il coro, con un continuo sciabordio di vesti e stivali generosamente immersi in questa sorta di liquido amniotico che tutto inghiotte.
Le scene intriganti di Dario Gessati strizzano l’occhio al laghetto del Lohengrin scaligero, attualmente riproposto dall’Opéra di Parigi, con canneto d’ordinanza, ma anche allo specchio riflettente della Traviata secondo Svoboda, superficie inclinata e sospesa sul palcoscenico. Unitamente ai tagli di luci efficaci di Fiammetta Baldiserri e ai funzionali costumi di Tommaso Lagattolla, l’insieme contribuisce a rendere compiutamente l’atmosfera brumosa e sfuggente oltre che il clima di sospetto e mistero ben descritto dalla partitura belliniana.
Alla quinta replica, alla quale si riferisce tale recensione, lo spettacolo si presentava ben rodato nonostante le scarse prove d’insieme dovute all’arrivo in extremis, e a ridosso della prima, delle scenografie. Daniela Schillaci, l’Alaide del primo cast, al rientro dopo l’indisposizione che l’aveva costretta a dare forfait, è riuscita ad assicurare la sua presenza, dominando l’impervia e gravosa tessitura del ruolo. Ipnotica nella sua aria di sortita fuori scena Sventurato il cor che fida con l’accompagnamento dell’arpa, il soprano catanese si è ben disimpegnata lungo tutto l’arco narrativo con buone salite all’acuto, varietà di accenti e fraseggio curato. Al suo fianco Emanuele D’Aguanno ha dato vita alla figura di Arturo nel ruolo tenorile che, in questa prima versione, è privo di arie e viene risolto in duetti e pezzi d’insieme che necessitano di un peso vocale probabilmente maggiore rispetto a quello mostrato, ma che può contare comunque sulla baldanza di un autentico timbro tenorile.
Emissione fluida ed omogenea per Enrico Marrucci, che si è sobbarcato anche le recite del collega malato nel ruolo da deuteragonista di Valdeburgo e che ha offerto la prova migliore nel duetto con agnizione con Alaide del primo atto. Ben integrata, anche se chiamata in sostituzione dei due mezzosoprani originariamente previsti alla vigilia della prima, l’Isoletta di Sonia Fortunato e solido il Priore di Maurizio Muscolino, mentre solo corretti l’Osburgo di Riccardo Palazzo e il Montolino di Alessandro Vargetto.
Il coro, preparato come di consueto da Ross Craigmile, è sembrato il più penalizzato dall’elemento acquatico presente in scena, riflettendo una certa qual preoccupazione nel canto.
Sebastiano Rolli ha diretto la compagine orchestrale catanese con buon mestiere, ma poca attenzione allo sperimentalismo belliniano della partitura, riuscendo ad ogni modo a cavare una buona prova dai suoi professori.
Alla fine, un pubblico fino a quel momento alquanto distratto ha applaudito con convinzione gli artisti per un allestimento anfibio che merita di essere riproposto, ma con clima mite, per evitare la falcidia di cantanti .
La recensione si riferisce alla recita del 27 Gennaio 2017.
Caterina De Simone