Turandot | Teresa Romano |
Altoum | Marco Voleri |
Timur | Alessandro Spina |
Calaf | Rubens Pellizzari |
Liù | Maria Teresa Leva |
Ping | Leo An |
Pang | Saverio Pugliese |
Pong | Edoardo Milletti |
Un mandarino | Omar Kamata |
Ancelle | Myrta Montecucco, Paola Giacalone, Afra Morganti, Mariasole Mainini |
Danzatrici | Stefania Benedetti, Marina Frigeni, Elisabetta Rosso |
Direttore d'orchestra | Carlo Goldstein |
Regia, scene e luci | Giuseppe Frigeni |
Costumi | Amélie Haas |
Maestro del coro | Diego Maccagnola |
Maestro del coro delle voci bianche | Hector Raul Dominguez |
Orchestra I Pomeriggi Musicali di Milano | |
Coro di Operalombardia | |
Coro di voci bianche Mousiké - Smim Vida di Cremona | |
Banda di palcoscenico "Isidoro Capitanio" di Brescia |
Turandot di Giacomo Puccini ha aperto la stagione 2016/2017 del Teatro Grande di Brescia con un allestimento del Comunale di Modena che, come di consueto, girerà per il circuito lirico lombardo nei prossimi mesi. L’elegantissimo pubblico bresciano ha riempito totalmente il teatro per una serata che però ha mancato l’occasione di rimanere impressa nella memoria come piacevole o almeno, di onesta routine.
Una Turandot dai toni cupi, quella pensata dal regista Giuseppe Frigeni (autore anche delle scene e delle luci), ambientata in un Oriente stilizzato e riconoscibile solo da alcuni elementi scenici e nei costumi di Amélie Haas. Le scene tetre, composte fondamentalmente da alcuni gradoni semovibili e un sipario in fondo al palcoscenico che permetteva l’ingresso dei personaggi o le controscene dei figuranti, hanno fatto da contorno ad un’azione piuttosto statica: il coro, diviso in due gruppi, è stato relegato ai margini ed è rimasto immobile in tutti i suoi interventi, mentre ridotti all’essenziale sono stati i movimenti dei solisti (resta incomprensibile perché Calaf non guardi mai in faccia Turandot, né quando la vede per la prima volta, né durante il duetto del terzo atto).
Ma la parte scenica in sé è stato il minore dei mali rispetto al versante musicale. Carlo Goldstein, alla guida dell’Orchestra dei Pomeriggi Musicali, ha uniformato il suono sulle dinamiche Forte-Fortissimo, forzando sui settori degli ottoni e delle percussioni a scapito degli archi (anch’essi comunque privi di morbidezza), senza tenere conto delle voci in palcoscenico, sovrastate dal suono esageratamente roboante. I tempi, staccati spesso con eccessiva velocità, hanno tolto pathos all’azione scenica. Il Coro di Operalombardia, diretto da Diego Maccagnola, si è adattato inevitabilmente alle dinamiche imposte dal direttore d'orchestra.
In questo fracasso i cantanti hanno provato a farsi sentire, anche se non tutti ci sono riusciti con un risultato positivo.
Ne è uscita più che bene Teresa Romano, una Turandot dalla voce potente ma morbida, capace di sfumature e di calore. La sua è una principessa più umana che algida, più lirica che drammatico-spinta, che tradisce subito l’animo fragile nascosto sotto la corazza di gelo.
Positiva anche la prova dell’altra interprete femminile, Maria Teresa Leva nel ruolo di Liù. La voce lirica è di bel timbro anche se ci sono alcune asperità nel registro medio-grave, mentre sono pregevoli i piani sugli acuti (peccato che l’orchestra non l’abbia seguita in alcuni passaggi e abbia finito con il coprire anche lei). Una voce che non si contrapponeva per morbidezza a quella della Romano, ma anzi ne era speculare, creando così un parallelo affascinante, anche a livello interpretativo.
Non all’altezza si è rivelato invece Rubens Pellizzari come Calaf: l’emissione spinta nel tentativo di reggere la tessitura (non aiutato dal volume dell’orchestra, che spesso finiva con il sovrastarlo completamente) e il passaggio poco ortodosso culminavano in acuti faticosi e “indietro”. Il “Nessun dorma” è stato portato a termine con evidente difficoltà.
Alessandro Spina ha tratteggiato un Timur autorevole sia vocalmente che scenicamente, con una voce rotonda e di buona emissione. Il suo è stato uno dei personaggi meglio approfonditi dal punto di vista scenico, anche se nei limiti di quello che poteva consentire la regia.
Poco omogenee e dall’esito diverso le tre maschere, tra cui spiccava il Ping di Leo An. Voce importante da baritono lirico, An si è distinto nell’Andantino mosso “Ho una casa nell’Honan”, fraseggiato con gusto e ottima dizione. A fine spettacolo è stato il più applaudito della serata (e questo dovrebbe fare almeno riflettere).
Buona la prova di Saverio Pugliese come Pang, mentre purtroppo non è pervenuta quella di Edoardo Milletti come Pong, costantemente coperto dall’orchestra.
Al di sotto della sufficienza anche la prova di Marco Voleri, Altoum, voce quasi fissa e di timbro poco gradevole, mentre poco si può dire sulla resa scenica, visto che era immobilizzato sul trono dell’imperatore sotto strati di costume.
Apprezzabile infine la prova dei comprimari, dal mandarino Omar Kamata alle ancelle.
Alla fine della serata applausi piuttosto freddi e frettolosi, con pochissime chiamate alla ribalta, con eccezioni per Leo An, Spina e le due protagoniste femminili, per una prima che potremmo definire piuttosto deludente, tanto da auspicare un miglioramento per le recite successive.
La recensione si riferisce allo spettacolo del 30 Settembre 2016
Roberta Pacifico