Sarastro | Abramo Rosalem |
Tamino | Filippo Paesano |
Pamina | Ekaterina Sadovnikova |
La Regina della Notte | Sofia Mchedishivili |
Papageno | Dario Giorgele’ |
Papagena | Teona Dvali |
Monostatos | Patrizio Saudelli |
Prima Dama | Alice Chinaglia |
Seconda Dama | Cecilia Bagatin |
Terza Dama | Alice Marini |
L’oratore | Paolo Battaglia |
Tre Fanciulli | Elena Roversi, Giulia Moretto, Elena Fontolan |
Due Sacerdoti/Due Armigeri | Luca Favaron, Carlo Agostini |
Direttore | Giuliano Betta |
Regia | Federico Bertolani |
Scene | Giulio Magnetto |
Costumi | Manuel Pedretti |
Orchestra di Padova e del Veneto | |
Coro Lirico Li.Ve. | |
Maestro del coro | Sergio Balestracci |
Die Zauberflöte: favola od opera iniziatica?: questo il nocciolo dell’eterna querelle che ruota intorno all’estremo capolavoro di Mozart. Ad ogni ascolto siamo sempre più convinti nel ritenere che sia una giusta miscela di entrambi gli aspetti. Il cammino iniziatico della coppia Tamino-Pamina, la cui simbologia è evidentissima, si compie sulla scena in una modalità che possa risultare immediatamente comprensibile al pubblico, il quale assisterà sì ad una narrazione fantastica, ma nel contempo coglierà, a differenti livelli i significati reconditi presenti in essa. Qui, in questa sublime commistione di comico e serio pensiamo stia la sua grandezza.
La Zauberflöte può dunque essere raccontata seguendo uno o più filoni narrativi: favola, cammino iniziatico, introspezione psicoanalitica; tutti egualmente validi e percorribili.
Federico Bertolani, decide per un approccio totalmente onirico. L’azione è sdoppiata nettamente tra realtà e sogno, ove la prima è rappresentata da una periferia urbana, il cui grigio cemento richiama alla mente Gotham City, ed il secondo dal regno di Sarastro, rifulgente di bianco e d’argento. Giulio Magnetto, che firma le scene, accentua ulteriormente la dicotomia rappresentando il degrado del reale attraverso un evidente disordine, riservando al mondo fantastico una simmetria fatta di candidi pilastri di foggia axumita e bacili d’argento.
Su questo impianto s’innesta la lettura di Bertolani, che, nel corso dell’ouverture, anima il paesaggio di varia umanità: Papageno è un clochard depredato delle sue poche elemosine da un Monostatos-poliziotto, le Tre Dame sono prostitute che assistono al pestaggio di Tamino che, in compagnia di Pamina si trova suo malgrado a passare di lì. Tamino, privo di sensi dopo l’aggressione (il corpo esanime resta sempre in vista), ricompare, vestito di bianco, nel mondo fantastico di Sarastro e della Regina della Notte, pronto ad affrontare le prove che lo inizieranno alla Vita Vera. Come ne Il Mago di Oz, figure familiari della vita reale diverranno i compagni di Tamino nel suo percorso di rinnovamento, sino al suo risveglio là dove lo avevamo lasciato, pronto ad intraprendere una vita più consapevole.
L’idea è buona, ma tuttavia ci è sembrato mancare qualcosa che leghi un aspetto all’altro rendendone esplicita la concausalità: più che una liaison qui c’è una giustapposizione che rende non del tutto comprensibile il passaggio tra i due mondi e non ne spiega a fondo le ragioni.
Peccato, perché il viaggio iniziatico è reso da Bertolani con bella eleganza e profonda attenzione per quasi tutti gli elementi esoterici che esso reca con sé, a cominciare con l’uso sapiente di richiami ai Quattro Elementi. Gradevoli e ben armonizzati con scene e regia i costumi di Manuel Pedretti.
Complessivamente ben risolta la parte musicale, a partire dalla direzione di Giuliano Betta che, alla testa dell’Orchestra di Padova e del Veneto, offre una lettura incentrata su di una morbida narratività, nella quale le scelte dinamiche privilegiano un respiro ampio, pur senza mai tralasciare di porre in evidenza, con condivisibili scelte ritmiche ed agogiche, i momenti di maggior drammaticità.
Molto buona ci è sembrata la Prova di Filippo Paesano che, con voce fresca e di bel colore brillante, disegna un Tamino ad un tempo smarrito e deciso. Il fraseggio cresce di vigore mano a mano che il protagonista va prendendo coscienza di sé, poggiando su di una linea di canto cristallina.
La Pamina cui dà voce e corpo Ekaterina Sadovnikova si distingue per una certa volitiva caparbietà, più donna che bambina. Padrona di una vocalità di grande freschezza la Sadovnikova affronta e risolve con sensibilità tutte le variegate sfaccettature che il ruolo le offre.
Non esaltante, di contro, risulta la Regina della Notte di Sofia Mchedishivili, voce piccola, aspra in acuto ed insicura nelle agilità.
Abramo Rosalem, cantante in crescita, tratteggia un Sarastro dalla vocalità autorevole e sensibile nell’interpretazione.
Delizioso il Papageno di Dario Giorgelè, che canta e recita benissimo, il tutto in un tedesco con accento veneto che rende il personaggio ancor più divertente.
Pienamente convincenti sono il Monostatos pavido e petulante di Patrizio Saudelli e l’Oratore di misurata ieraticità di Paolo Battaglia, così come ben figurano le Tre Dame di Alice Chinaglia, Cecilia Bagattin e Alice Marini.
Decisamente non indimenticabili i Tre Fanciulli di Elena Roversi, Giulia Moretto e Elena Fontolan.
Completano il cast i bravi Luca Favaron e Carlo Agostini, nei ruoli dei due Sacerdoti e dei due Armigeri, e, ultima ma non meno importante, Teona Dvali, Papagena di lusso.
Corretto e puntuale nei suoi interventi il Coro Lirico Li.Ve.preparato da Sergio Balestracci.
Successo cordiale e meritato.
(La recensione si riferisce alla recita del 9 ottobre 2016)
Alessandro Cammarano