Siegmund | Michael König |
Hunding | Stephen Milling |
Wotan | Iain Peterson |
Sieglinde | Eva-Maria Westbroek |
Brünnhilde | Martina Serafin |
Fricka | Okka von der Damerau |
Schwertleite | Julia Faylenbogen |
Helmwige | Christianne Khol |
Gerhilde | Dorothea Herbert |
Ortlinde | An De Ridder |
Waltraute | Kai Rüütel |
Siegrune | Bettina Ranch |
Rossweiße | Iris van Wijnen |
Grimgerde | Eva Kroon |
Direttore | Marc Albrecht |
Regia | Pierre Audi |
Scene | George Tsypin |
Costumi | Eiko Ishoka, ripresi da Robby Duiveman |
Luci | Wolfgang Göbbel e Cor van den Brink |
Drammaturgia | Klaus Bertisch |
Video | Maarten van der Put |
Nederlands Philharmonisch Orkest |
La Stagione 2019-2020 dell’Opera Nazionale Olandese prosegue con Die Walküre, nell’allestimento firmato da Pierre Audi per l’intero Ring, una produzione storica, almeno qui ad Amsterdam, andata in scena nel 1998 (e puntualmente consegnata al DVD), ripresa nel 2005 e ancora nel 2012-2013 nell’anno wagneriano (leggi le recensioni Das Rheingold, Die Walkure, Siegfried, Die Götterdämmerung) e che appare oggi per l’ultima volta prima di venire definitivamente dismesso.
Pierre Audi cura ancora la ripresa della prima giornata del Ring con la cura maniacale che gli è propria (e il Ring è forse la sua creazione più compiuta, almeno fra quelle che ho io ho visto ad Amsterdam) e dunque rimangono inalterate le mie impressioni rispetto a questo allestimento. Difficile valutare estrapolandolo dal suo contesto, vista la fortissima coesione che legava i quattro spettacoli della Tetralogia, uniti dall’ideale movimento ciclico dell’orchestra attorno al palcoscenico. Nel 2012 scrivevo:
«Uno spettacolo [...] che riesce [ancora] a sorprendere per la modernità di concezione al punto di apparire attuale al pari di una nuova produzione. Questo perché la lettura di Audi è una “non-lettura” nel senso che programmaticamente sembra rifuggire da qualsiasi interpretazione o reinterpretazione del testo e, al tempo stesso, rifiuta di illustrare olograficamente e pedissequamente la vicenda. Pierre Audi non legge l’Anello come metafora della crisi del capitalismo, né, tantomeno, come dramma borghese, ma neppure come mero racconto mitologico».
E ancora:
«Lo spettacolo [Die Walküre] ha luogo su una immensa piattaforma circolare di legno che circonda l'orchestra posta sul lato destro del palcoscenico, cosicché l'azione si svolge tutta al proscenio. L'idea della circolarità è dunque presente non solo visivamente ma anche nella posizione dell'orchestra; in buca nel Rheingold, sul palco, a destra e a sinistra, in Die Walküre e Siegfried, e di nuovo in buca nella Götterdämmerung. La struttura scenica, firmata da George Tsypin, è suggestiva e riempie, nella sua semplicità, la scena in modo assai suggestivo. Si aggiungano ad essa alcuni momenti davvero memorabili (come le fiamme che divampano avvolgendo la capanna di Hunding oppure la lancia di Wotan che emergendo dal suolo impala Hunding vittorioso su Siegmund) sottolineati dalle bellissime luci di Wolfgang Göbbel e Cor van der Brink ed è chiaro come tutto concorra ad un spettacolo fortemente unitario ancorché didascalico. Fatto che di per sé non è da considerarsi una diminutio ma si incanala in un ben preciso filone interpretativo dell’Anello».
Marc Albrecht, al suo penultimo anno come direttore musicale dell’Opera Nazionale Olandese, regala una delle sue letture più convincenti e ispirate in quella che mi è sembrata una rara comunanza di intenti e sentimenti fra direttore, regia e cantanti. Una lettura lucidissime e febbrile, tutta volta a evidenziare il lato lirico e liricizzante della partitura, anche in quei momenti dove la scrittura si fa più asciutta, come il duetto fra Wotan e Fricka e il duetto fra Wotan e Brünnhilde nel secondo atto. Dall’inizio tempestoso in re minore che descrive la bufera che porta Siegmund alla capanna di Hunding e al fatale incontro con Sieglinde sino al cullante e radioso finale in mi maggiore, la lettura di Albrecht non conosce cedimenti: luminosa e vibratile, appassionata e sentimentale, massicciamente poderosa quando necessario. Forse, un’occasione mancata non aver affidato ad Albrecht la ripresa del Ring nel 2013. O forse era troppo presto. Chissà.
Accanto ad una direzione di tale livello, un cast altrettanto valido, con punte di vera eccellenza, a partire dalla Sieglinde di Eva-Maria Westbroek, finalmente grandissima in un ruolo a lei assai più congeniae che non Manon (leggi recensione) o la Leonora della Forza del destino (leggi recensione) . La voce sembra aver ritrovato una seconda giovinezza, calda e fermissima su tutta la linea, con acuti luminosi e perfettamente proiettati. L’interprete è generosa, e tratteggia una Sieglinde dolente e appassionata: bellissimo il suo Du bist der Lenz come bellissima espansione dell’Erlösung-Motiv che accompagna la grande frase di O hehrstes Wunder!
Accanto a lei il Siegmund di Michael König che ha il gran merito di non forzare mai, riuscendo a liricizzare il personaggio (e questo vale un po’ per tutti i cantanti di questa produzione, sicuramente aiutati dal cantare davanti all’orchestra senza dover combattere contro l’enorme strumentale wagneriano, non senza considerare l’apporto decisivo di Albrecht nel supporto al canto). Ottimo, dicevo, il canto di König, luminosi gli acuti di Wälse! Wälse! e davvero suggestivo il suo Winterstürme. Stephen Milling risolve Hunding nel canto e col canto, e non è merito da poco; anche lui sfoggia considerevoli mezzi vocali ed impressionante presenza scenica trovando una perfetta intesa nell’interazione col la Siegliende dalla Westbroek.
Il Wotan di Iain Paterson è vocalmente meno singolare e accusa qualche stanchezza sul finale dell’opera (e anche qui Albrecht opera magie nel risolvere una situazione potenzialmente disastrosa). L’interprete è comunque scaltrissimo e sfrutta con grande sagacia un momento di défaillance a fini interpretativi per tratteggiare un Wotan annientato dalla propria decisione di punire.
Non so se Martina Serafin abbia debuttato come Brünnhilde in questa produzione (riprenderà ancora il ruolo nel Ring parigino nel 2020, accanto a Kaufmann, alla Westbroek e Paterson) ma mi pare si possa parlare di una prestazione davvero positiva. Alcuni acuti sono duri e un poco forzati (specialmente i si e i do) ma sono peccati veniali difronte ad una interpretazione assai meditata e ricca di bei momenti. Splendido il duetto con Wotan, ancor più l’Annuncio di morte a Siegmund, restituito con toccante umanità.
Ottima anche la Fricka di Okka von der Damerau sia per mezzi vocali sia per presenza scenica, come del pari ottime tutte e otto le valchirie.
Per finire, di gran livello la prestazione della Nederlands Philharmonisch Orkest che, praticamente perfetta in ogni sua sezione (e una menzione va al primo violoncello Floris Mijnders, artefice degli strepitosi a solo nel primo atto), ha dato un contributo fondamentale per la realizzazione di una serata di grande Musica.
La recensione si riferisce alla recita dei sabato 16 Novembre 2016.
Edoardo Saccenti