Bellezza | Sabine Devieilhe |
Piacere | Franco Fagioli |
Disinganno | Sara Mingardo |
Tempo | Michael Spyres |
Direttore | Emmanuelle Haïm |
Regia | Krysztof Warlikowski |
Scene e costumi | Malgorzata Szczesniak |
Drammaturgia | Christian Longchamp |
Luci | Felice Ross |
Coreografia | Claude Bardouil |
Video | Denis Guéguin |
Le Concert D'Astrée |
Händel nel 1706 intraprese un viaggio di quattro anni in Italia che lo portò di seguito a Firenze, Roma, Venezia, Napoli. A Roma destò immediatamente interesse, prima come esecutore (cembalo e organo), poi come compositore. Affinò inoltre la conoscenza della scrittura vocale italiana, studiando le composizioni di Lotti, Pasquini, Caldara, Steffani e, soprattutto, Alessandro Scarlatti. A Roma strinse rapporti con Arcangelo Corelli, il quale, pare certo, volle dirigere il primo oratorio dell’appena ventiduenne sassone nel 1707, Il Trionfo del Tempo e del Disinganno, su libretto del cardinale Benedetto Pamphili. Pare anche che il famoso musicista chiedesse ad Händel una sinfonia in stile italiano in luogo di quella già scritta secondo lo stile francese (perduta), in quanto non conosceva lo stile puntato. A causa del divieto alle donne di calcare le scene, i ruoli di Bellezza, Piacere e Disinganno furono affidati a castrati; il Tempo a un tenore. Il compositore, in seguito, riutilizzerà molta musica del Trionfo in opere successive; il più famoso degli autoimprestiti, Lascia la spina, cogli la rosa, già derivante da Almira (1705), diverrà la celeberrima Lascia ch’io pianga del Rinaldo. Nel 1737 e successivamente nel 1757 l’oratorio fu tradotto in inglese (Triumph of Time and Truth) e rivisto, dando sempre minore rilievo al virtuosismo vocale, veramente trionfante nella versione originale. Il testo allegorico vede la Bellezza turbata all’idea di perdere il fascino di cui è stata destinataria e sceglie di rimanere fedele al Piacere, che le promette la conservazione del proprio dono. Invano il Tempo e la Disillusione cercheranno di convincerla che la giovinezza è breve e quello che adesso suscita ammirazione e desiderio si ridurrà ad un mucchio di cenere; inoltre insistere negli attuali propositi significherà la rinuncia alla vita celeste. Ma i tentativi di distogliere la Bellezza dalle gioie terrene alla lunga iniziano a far breccia nel suo animo e alla fine prometterà di donarsi a Dio e di staccarsi per sempre dalle lusinghe del Piacere.
Il Trionfo del Tempo e del Disinganno è proposto ad Aix-en-Provence della versione del 1707 e in forma scenica. Krzysztof Warlikowski vede nel libretto di Benedetto Pamphili un insopportabile esempio di violenza nei confronti della laicità del singolo, una forma di vero e proprio terrorismo nei confronti della libertà di scelta dell’uomo, risultato dai condizionamenti delle convenzioni sociali, a loro volta influenzate dal credo religioso. La scena mostra una platea digradante che potrebbe essere quella di un cinema o di un piccolo teatro, separata in due zone, al centro, da una struttura trasparente che funge da luogo di trasgressione: piccolo spaccato di un punto di ritrovo per giovani, dove si balla e si consumano piaceri proibiti. Sullo sfondo, su un grande video scorrono le immagini che aiutano, soprattutto all’inizio, a descrivere gli eventi. Bellezza è una ragazza attraente la quale, mentre si scatena nella danza, incontra un ragazzo altrettanto bello e sensuale. Con loro è il Piacere, forse fratello o amico della giovane, in possesso di pasticche da sballo; lui le tiene in bocca e l’altro dovrà baciarlo per potersene impossessare. Ma la situazione precipita; il ragazzo va in overdose e morirà. La Bellezza, scossa e segnata, viene accolta dai rimbrotti e dalle minacce del Tempo e del Disinganno in un interno borghese (forse si tratta del padre e della madre oppure, più in generale, di due esempi di società intollerante e repressiva). Il Disinganno, in particolare, mostra qui aspetti come di personalità frustrata che sfocia nel sadismo, mentre il Tempo rivela carattere ambiguo che non disdegna, mentre rimbrotta, atteggiamenti di eccessivo apprezzamento nei confronti della ragazza. Tra corsi e ricorsi, alla fine la Bellezza sceglie di votarsi a Dio, il che equivale per Warlikowski ad una rinuncia alla vita, che si risolverà nel suicidio. Nel corso dell’azione, passato e presente si intrecciano e riaffiorano a turno, così rivedremo più volte il ragazzo morto che balla e amoreggia. Forse si riaggancia a questo (ma non lo saprei dire per certo) il filmato che appare alla fine della prima parte: un estratto da Ghost Dance in cui Jacques Derrida e Pascale Ogier parlano di fantasmi. Certamente al momento la sensazione è dell’inserimento di un corpo estraneo del quale si fatica molto a decifrare il senso e ancor meno se ne capisce la funzione all’interno del tessuto narrativo. In ogni caso l’impressione globale è che si tratti di una lettura abbastanza estrema, sulla quale si può o meno essere d’accordo, ma indubbiamente condotta con rigore, coerenza e con un lavoro capillare sugli attori, qui rivelatisi strumenti estremamente duttili e assolutamente compresi nei loro ruoli. Di ottimo rilievo la collaborazione di Felice Ross per le luci, di Denis Guéguin per i video, Malgorzata Szczesniak (scene e costumi), Christian Longchamp (drammaturgia), Claude Bardouil (coreografia).
Emmanuelle Haïm, che aveva già inciso una quindicina di anni fa l’oratorio col suo Concert d’Astrée, deve fare i conti con un’esecuzione all’aperto e rafforzare un poco i ranghi dell’orchestra. Il risultato è una lettura di grande mobilità agogica, dalla dinamica meno varia di quello che mi sarei atteso; ma forse a questo non sono state ininfluenti le condizioni di ascolto, che pur con una buona acustica, sacrificavano un po’ le sonorità degli strumenti, tra l’altro, soprattutto all’inizio, non impeccabili nelle sezioni degli archi. Molto belle le variazioni nei da capo e soprattutto adattissime al materiale vocale disponibile.
Protagonista assoluta di questo spettacolo, anche per il rilievo datole dalla regia, è il giovane soprano francese Sabine Devieilhe, fascinosa e di grande impatto drammatico. Evidentemente del tutto assorbita dal ruolo e in perfetta sintonia con la messa in scena, trasmette col canto tutta la fragilità, l’incertezza e poi la disperazione della Bellezza. Voce lirico-leggera di bella penetrazione, vanta un ottimo legato, vocalizzazione quasi sempre impeccabile e squisite variazioni, tra le quali particolarmente degne di nota sono quelle acute e sopracute in pianissimo.
Per il Piacere la Haïm ha scelto lo strumento esteso e abbastanza disomogeneo di Franco Fagioli. I gravi sono assai gutturali e nei cambi di registro il colore spesso cambia. Ma anche queste caratteristiche servono a mettere in luce un personaggio fatuo, doppio, ingannatore. Le agilità sono ben oliate e, specialmente in Come nembo che fugge col vento, il controtenore argentino è capace di reggere le vorticose volate previste, con in aggiunta variazioni acrobatiche di bell’effetto. In Lascia la spina, cogli la rosa, il legato ha un buon rilievo, ma la cosa che balza più all’occhio e all’orecchio è la carica di ambiguità sottesa alla melodia, ultimo tentativo del Piacere di recuperare il terreno perduto e, nel caso della regia di Warlikowski, ultimo inganno nei confronti di Bellezza, alla quale si aprirà una via di non ritorno.
La voce contralteggiante di Sara Mingardo (il Disinganno) avvolge la musica di Händel con un calore che vorrebbe sembrare materno, ma l’espressività e la recitazione paiono indirizzarsi verso un gusto quasi perverso nello spingere la destinataria delle sue attenzioni verso un futuro di espiazione e pentimento che significa solo rinuncia e sofferenza.
La tessitura del Tempo è bassa, da baritenore e Michael Spyres la risolve con autorità, infarcendola di volate che portano la voce all’altro estremo della tessitura. L’ambivalenza non è minore di quella della sua compagna, ma con un carico di ipocrisia in più, che si nasconde dietro ad una bonomia paterna, dalla quale trapela però una lussuria malissimo celata.
Si trattava della terza recita, quindi non so come siano stati accolti i responsabili della messa in scena; comunque alla fine successo calorosissimo per tutti, con un’ovazione particolare per la super impegnata Sabine Devieilhe, tributata dal pubblico che gremiva il Théâtre de l’Archevêché e tra il quale spiccavano le presenze di Natalie Dessay e di Laurent Naouri.
La recensione si riferisce alla recita del 6 luglio 2016.
Silvano Capecchi