Dopo oltre vent’anni di carriera vissuti collaborando con direttori e registi di grande prestigio sui palcoscenici più importanti del mondo, per Matteo Peirone giungerà tra pochi giorni anche il debutto al Festival di Pasqua di Salisburgo: Sagrestano nella Tosca diretta da Thielemann nella celebre Großes Festspielhaus.
Matteo, sappiamo che sei laureato in lettere classiche. Per quale ragione, anziché seguire una strada professionale in qualche modo legata maggiormente ai tuoi studi accademici, hai deciso di dedicarti al canto? Ci racconteresti come è nata la tua avventura nel mondo della musica e specificatamente nel mondo teatrale dell’opera lirica?
La passione delle lettere classiche, ereditata da mio padre Giuseppe, grecista di gran vaglia, è sempre andata di pari passo con la passione per la musica e per l’arte in genere. Non a caso la mia tesi di Laurea fu proprio inerente il misterioso mondo della Musica Greca Antica e del suo, apparentemente incomprensibile, naufragio. Nel mondo greco la musica era il centro di tutta l’educazione. L’uomo “completo” era definito “musikos aner”. La musica era, appunto, l’arte delle Muse. Tutto il teatro antico, l’epica e la poesia (la lirica appunto, cioè accompagnata dalla lira) erano musicali. Durante gli studi universitari, quindi, sotto la guida di un sommo grecista, l’indimenticabile Professor Umberto Albini, mi posi verso il Mondo teatrale antico con la stessa curiosità degli umanisti fiorentini della Camerata de’ Bardi: coloro che diedero inizio all’avventura del recitar cantando e del melodramma.
Non essendo io un “accademico”, ma piuttosto un “antidogmatico” sempre alla ricerca di nuove strade anzi, di nuovi porti dove giungere e da cui partire, dopo pochi anni di insegnamento capii che il mio posto non sarebbe stato ex-cathedra.
Iniziai a studiare canto seguendo Linda Campanella (all’epoca mia fidanzata), che era già diplomata in pianoforte e approdai alla scuola di Franca Mattiucci, meravigliosa interprete, stupenda donna e insegnante (siamo passati in tanti da lei). Franca intravvide subito, in quel ammasso indistinto di entusiasmo, passione ed energia che ero io, i segni di un certo talento e in particolare di un talento comico.
Mi preparò per l’ASLICO, che vinsi nel '92 e a cui devo tantissimo e mi mandò da Paolo Montarsolo.
Paolo, gigante del nostro teatro buffo e uomo appassionato e generoso, confermò i “sospetti” della Mattiucci e mi incoraggiò a seguire questa strada. Strada su cui cammino da tanti anni ormai (venticinque per l’esattezza) e che mi porta in giro per il mondo grazie alle opere buffe e ai ruoli di carattere.
Insomma quattro nomi sono stati fondamentali per me: Linda, Franca Mattiucci, Paolo Montarsolo e la grande famiglia dell’ASLICO.
Indicativamente nel primo decennio di carriera hai affrontato soprattutto ruoli da basso-buffo arrivando anche a cantare Dulcamara alla Scala ed altri ruoli di questo particolare repertorio in vari teatri importanti. Invece, nel tuo secondo decennio di carriera, hai iniziato ad introdurre ruoli da caratterista diventandone un autentico riferimento a livello internazionale. Credo che il tuo Benoit lo conoscano in tutto il mondo. Come è avvenuta questa evoluzione?
Si, è vero. Nei primi dodici anni di carriera ho cantato per lo più alcuni grandi ruoli: Dulcamara, Magnifico, Bartolo, ma anche Mamma Agata, Geronio, Geronimo, Don Annibale, Don Pasquale. Li ho cantati un po’ dappertutto. Spesso in Germania (Dresda, Bonn, Francoforte, Colonia…). Ma già allora cantavo i ruoli di carattere come ancora adesso canto, ogni tanto, i grandi ruoli.
Si sono invertite le percentuali. Ed effettivamente, come dici tu, i miei Benoit e Sagrestani, Antonio e Spinelloccio (e non solo) sono stati “ascoltati” e anche incisi in tutto il mondo: dalla Scala alla Bastille, dal Covent Garden a Tokyo, da Amsterdam a Shanghai, da Amburgo a New York , fino a Mumbai, sotto la bacchetta di tanti direttori: Muti, Bartoletti, Mehta, Noseda, Fischer, Chailly, Oren, Dudamel… solo per citare i primi che mi vengono in mente, ma la lista sarebbe decisamente più lunga.
Come e perché è avvenuta questa evoluzione? Beh, in parte le cose vanno dove vogliono e in parte, dove le vogliamo condurre.
Essenzialmente io ho assecondato questa evoluzione che era alimentata dalle richieste del “mercato”. La domanda, quasi esistenziale, che ognuno di noi si è posta almeno una volta nella vita, è: “preferisci essere primo tra i secondi o secondo tra i primi?” Nel mio caso ho preferito lavorare al livello massimo con ruoli che sapevo poter interpretare in maniera adeguata a quel livello.
Dopo tanti anni penso di conoscere abbastanza bene i miei pregi ma anche i miei limiti. E sono convinto che in una carriera artistica teatrale, quindi fondamentalmente basata sull’esibizione del proprio talento, la conoscenza, accettazione e considerazione dei propri pregi ma ancora più dei propri limiti sia una difficilissima ma indispensabile, direi inesorabile, strada. Strada che conduce a una carriera soddisfacente, piacevole… duratura.
Peraltro a metà di questa mia carriera, nel 2006, ho incontrato la malattia (tanti amici e colleghi se ne ricordano). Tre mesi di rianimazione, attaccato a nove tubi e poi la resurrezione e la ripresa della vita, dell’amore e dell’arte. Esperienze che rendono tutto più relativo e che ti lasciano solo un’enorme senso di riconoscenza e perenne gioia per tutto quel di più che la vita ti vorrà riservare.
Ma il repertorio da basso-buffo lo frequenti ancora…
Certo lo frequento con grande piacere. Proprio questa estate una memorabile tournèe (Festival di Edimburgo, New York e Budapest) con la Budapest Festival Orchestra, Ivan Fischer, il “suo” visionario Don Giovanni e il mio “attempato” Masetto che proprio lui ha voluto così. Ma anche alcune produzioni come Dottor Bartolo, Don Alfonso, Dulcamara. Tornare ogni tanti ai grandi ruoli è un fondamentale esercizio per non smettere mai di studiare e per tenersi in forma vocale e… fisica visto che l’aria “A un dottor della mia sorte” o “Udite o rustici” sono esperienze paragonabili a una corsa in salita sugli altopiani del Tibet.
Se dicessimo che oggi ti si può considerare soprattutto un “comprimario” di altissimo livello, come lo furono Mercuriali, De Palma e, per rimanere alla tua corda, un certo Italo Tajo, ti offenderesti?
Non solo non mi offenderei ma ne sarei felice e, sinceramente, non penso di meritarmi ancora il paragone con questi “grandissimi” del teatro. C’è una frase piuttosto abusata, ma profondamente vera nel nostro mondo: “non esistono piccoli o grandi ruoli ma piccoli o grandi interpreti”. Ecco…
La scuola del comprimariato è anche una scuola di vita. Insegna l’umiltà e la consapevolezza. Che sono doti con cui non solo si canta ma si vive meglio.
Negli ultimi anni canti soprattutto all’estero. Dipende dal fatto che all’estero, quando preparano uno spettacolo, danno importanza alla scelta dei primi ruoli quanto a quella dei ruoli da caratterista?
Non credo sia una questione di valutazione dei ruoli quanto di organizzazione e programmazione del lavoro. Per svariati motivi in buona parte “endemici”, il teatro italiano programma “last minute” e ancor più “last minute” stipula e invia i contratti, soprattutto per i secondi ruoli.
E così, empiricamente, succede che avendo io ho già contratti firmati per diversi mesi del 2019 (Staatsoper di Monaco di Baviera per esempio), dovrò declinare eventuali offerte italiane.
Generalmente un teatro straniero alla fine di una produzione, se sei piaciuto, è già in grado di “opzionarti” un periodo anche per 3 o 4 stagioni successive.
Questo limitandomi al discorso di programmazione e lasciando da parte l’altro tema, spinoso, relativo all’entità dei compensi e ai tempi di pagamento dei teatri italiani.
Tra qualche giorno debutterai a Salisburgo diretto da Thielemann. Ci daresti qualche dettaglio in più di questo tuo prossimo impegno? Sei emozionato?
Mi sento tornato ai tempi dei miei debutti dove il cuore iniziava a battere già prima di cominciare le prove. Anche per motivi famigliari il Festival di Salisburgo fa parte del mio immaginario mitico e favolistico. Mio papà era mozartiano convinto e da bambini andammo in “pellegrinaggio” a Salisburgo, visitammo tutti i luoghi dedicati a Wolfi ed, essendo impossibile avere biglietti per il Don Giovanni ufficiale, guardammo quello con le marionette. Mai avrei neppur pensato che un giorno avrei cantato in quella Großes Festspielhaus dove non ero neppur riuscito ad entrare.
Sarà una nuova produzione di Tosca, dopo tanti anni (l’ultima fu quella mitica di Karajan), diretta per la prima volta da Christian Thielemann che è uno dei grandissimi maestri di questa generazione e degno erede di Karajan, appunto.
Essere al fianco di “grandissimi” come Anja Harteros, Aleksandr Antonenko, Ludovic Tezier mi riempie di emozione e di un certo orgoglio.
Quali sono stati i momenti più belli della tua carriera?
L’entusiasmo, che è la molla della mia vita ed è la qualità di cui sono più orgoglioso, mi mette in difficoltà allorquando si tratta di fare delle graduatorie. Ricordo con gioia tutto. Ho piena coscienza della fortuna che ho avuto nel vivere grazie alla musica e nel poter frequentare i principali teatri e vivere in tante città in giro per il mondo.
Ricordo naturalmente con particolare fervore, il debutto con il Turco in Italia dell’Aslico diretto da Stefano Ranzani e sotto la regia di Stefano Vizioli: mi pareva di toccar il cielo con un dito.
E poi il debutto in Scala, direttamente con il Dulcamara nell’Elisir d’amore, secondo di Alfonso Antoniozzi che è per me il buffo di riferimento dei nostri giorni.
E ancora il primo di tanti contratti a Parigi che mi offrì la possibilità di vivere in quella meravigliosa città per molti mesi e sentirla mia.
Ma anche il debutto a New York, al Covent Garden e ora a Salisburgo.
Ma mai potrò dimenticare il mio ritorno sulle scene dopo la malattia: nell’ottobre del 2006, a soli 3 mesi dall’uscita dal coma artificiale che mi aveva tenuto in vita. Un Dulcamara in Spagna grazie al mio amico Luis Miguel Lainz di Opera 2001 che non volle cancellare il mio contratto e mi aspettò fino all’ultimo. Un Dulcamara convalescente e dal fiato corto, ma dall’entusiasmo e vitalità dirompenti.
Ecco questo forse è il ricordo più bello.
Artisti direttori, colleghi che hanno segnato il tuo cammino artistico?
Farò certamente torto a molti non citandoli, ma provo lo stesso ad azzardare un, certamente parziale, elenco. Innanzitutto mia moglie Linda Campanella che è colei che ha dato l’inizio a tutto e da cui ho imparato disciplina e sensibilità. I suoi giudizi sono sempre i più importanti e i suoi appunti tecnici e interpretativi sono sempre così veri e puntuali. Già ho detto di Franca Mattiucci e di Paolo Montarsolo, ad essi aggiungo una conoscenza speciale: Renata Scotto che, negli ultimi anni è davvero diventata un’amica preziosa e cara.
Tra i maestri voglio limitarmi a due nomi: Gianandrea Noseda, energetico, passionale e rigoroso e Ivan Fischer che io chiamo “il mago”: devo moltissimo a loro.
Tra i colleghi ho talmente tanti amici che non mi perdonerei il fatto di dimenticare qualche nome. Quando leggo i loro nomi nei miei prossimi cartelloni sono felice perché so che allieteranno le mie giornate.
Una menzione tutta particolare per il mio agente: Andrea De Amici di Inart. Praticamente siamo cresciuti insieme e siamo anche amici. Condividiamo gioie e ansie e abbiamo in comune pure la passione per la buona tavola e… il buon olio taggiasco 100% ( lo produco io e lo chiamo “il Magnifico”). A lui e alla sua fiducia e tenacia devo tanto!
Quali sono le soddisfazioni che ancora vorresti ricevere dalla tua professione di artista lirico? Hai ancora qualche sogno nel cassetto?
Le mie soddisfazioni sono date dalle nuove conoscenze, dai rinnovati incontri, dalle approfondite e ripetute collaborazioni. In questa seconda fase della mia carriera amo molto ri-incontrare colleghi e maestri con cui ho lavorato e con cui so che sarà bello, facile e fecondo lavorare. In quest’ottica il mio sogno sarebbe incontrare ancora il Maestro Riccardo Muti con cui lavorai nelle Nozze di Figaro in Scala e, con i Wiener Philarmoniker, al Festival di Ravenna, ormai 15 anni fa. Ne ho un ricordo così “magnetico” e carismatico che ancora oggi ricordo ogni singola nota musicale delle sue prove di sala.
Quali sono le caratteristiche della tua professione che ami maggiormente e quali gli aspetti che invece ti costano maggiore sacrificio?
Quando i sacrifici supereranno le gioie sarà il tempo di smettere. Per ora gli aspetti positivi sono ancora molti: sono un vagabondo di natura e quindi amo girare il mondo. Amo prendere gli aerei (se non facessi il cantante vorrei fare il pilota). Amo sentirmi a casa in tante differenti città e girarle senza cartina. Adoro visitare i musei e ancora di più tornare a vederli. Amo coltivare il sentimento “simbolista” dei dipinti come immagine di un esemplare eterno di umanità. Mi piace ritrovare in giro per il mondo le mie “madeleine”. Perseguo, proustianamente, il sogno di trasformare il nostro tempo perduto in un tempo ritrovato…
Soprattutto amo stare a contatto con la musica e le opere immortali dell’ingegno umano. Insomma mi piace respirare i soffi di eternità che escono dagli spartiti, dalle tele, da certe biblioteche.
Sacrifici? Uno solo mi pesa: non poter aver una vita normale e coltivare certe amicizie quotidiane e ordinarie.
Recentemente ti sei cimentato nella regia di un’opera lirica. Come ti sei trovato? Pensi che sia un’esperienza che tenterai di ripetere in futuro?
Ho curato la regia di Barbiere di Siviglia all’Opera di Massy. È stata un’esperienza molto interessante. Il cantante è totalmente concentrato su sé stesso; il regista è totalmente votato a coordinare il lavoro altrui e sente responsabilità globali. In ogni caso la visione di insieme è molto utile e, dopo questa esperienza, direi indispensabile anche per un solista.
Le competenze richieste ad un regista sono molte e le vorrei approfondire sempre più. Penso che se ne riparlerà certamente.
Tra l’altro abbiamo anche potuto constatare la tua bravura nella scrittura di copioni teatrali nel corso di alcuni riusciti spettacoli che hai messo in scena al Noli Musica Festival. Ci racconti di questa tua passione?
Questa è, in effetti, una passione più nelle mie corde e nei miei trascorsi di studente e appassionato di letteratura. Ho sempre amato scrivere. E, nei lunghi mesi in giro per il mondo, mi piace scrivere spettacoli. Su un lungo volo, andata e ritorno in pochissimi giorni, per il Giappone, nel 2010, iniziai a scrivere. Scrissi dell’ultimo concerto “per” Chopin. Quello sul suo letto di morte in Place Vendome. Da Nizza arrivò una cantante polacca, spostarono il pianoforte accanto alla porta della camera da letto. Su richiesta di Fryderyk lei cantò “Ma la sola, ahimè, son io” dalla Beatrice di Tenda del suo amico Bellini… Lo raccontai usando la voce di Chopin stesso e poi quella, fuori campo, del suo medico. Con il pianoforte e il canto. A questo seguirono altri concerti a tema: “Invito al viaggio”, “Liquido come l’acqua, profondo come il mare”, tra gli altri. Infine l’opera: la “Traviata (che meravigliosa e terribile stori d’amore, la nostra)”, “L’Elisir d’amore in fattoria” fino alla “Lucia di Lammermoor al Castello”. Parto dalle fonti letterarie, cerco suggestioni narrative e le coniugo con la musica. Mi diverto e mi emoziono.
Ho accennato al Noli Musica Festival di cui tu sei ideatore e fondatore. Negli anni scorsi abbiamo avuto modo di seguire alcuni eventi ed abbiamo constatato sempre un ottimo livello di base. Puoi anticiparci qualcosa di quelli che saranno gli appuntamenti previsti per la prossima edizione?
Il Noli Musica Festival giunge alla sua nona edizione. La costanza e la passione stanno pagando e il pubblico si sta affezionando. Io mi occupo di lirica e, da qualche anno, stiamo proponendo riletture di opere che hanno come caratteristica quella di essere eseguite nei luoghi concepiti dal libretto e di essere narrate e cantate. Il pubblico ama questa formula. Non posso ancora svelare tutto perché siamo un cantiere aperto, ma ci sarà ancora l’”Opera al Castello”: una trilogia addirittura. Ci saranno grandi concertisti; Omaggi a Rossini e a Debussy nei rispettivi anniversari. E ci sarà una nuova produzione: racconteremo il Barocco attraverso le sue Follie e le storie di Farinelli, Haendel, Casanova e non solo. Vi aspettiamo a Noli: uno dei “Borghi più belli d’Italia”.
Certo che sei un autentico vulcano sempre preso da mille idee…
Sono in realtà un po’ “tormentato” dal fatto che noi cantanti siamo ricchi di ciò che manca ai più: il tempo. E non mi piace sprecarlo. Cerco di coltivarlo.
E se non sbagliamo sei anche uno sportivo praticante…
Ho giocato per tanti anni a rugby : una passione e una vera palestra di vita. Amo la montagna e, appena posso, scappo a Gressoney, dove ho una casetta sotto il Monte Rosa e da li parto per salire sui 4000. Amo camminare e correre. Ho finito qualche maratona. Ne ho in mente un’altra ma finchè non la realizzo non la racconto.
Ma siamo convinti che trovi il tempo anche per fare altre cose. Dai, svelaci cos'altro “nascondi”…
I miei trascorsi di malato mi hanno imposto di non pensare solo a me. Dieci anni fa ho fondato e presiedo una Onlus: ASSFAD (Associazione Savonese per lo Studio e la Cura delle malattie del Fegato e dell’Apparato Digerente - www.assfad.org). Facciamo attività di divulgazione, finanziamo progetti che sono sempre “dalla parte del malato”. Ogni anno nella nostra “Giornata ASSFAD” facciamo musica e solidarietà. Tanti colleghi ed amici hanno già partecipato, tanti vorrebbero e sono in “lista”. A ottobre 2018 la prossima…
Ultima cosa in elenco ma certamente non ultima in ordine d’importanza, sei persino riuscito a trovare il tempo per sposarti con la bella, brava e simpatica Linda Campanella, strepitoso soprano leggero di ottima carriera. Ma dove trovate il tempo per vedervi?
Ci inseguiamo per il mondo.
Ogni volta che ci si incontra e che si canta insieme è una gioia immensa.
Lei è “il mio amor e tutta la mia vita”.
Grazie per la bella chiacchierata ed in bocca al lupo per il tuo prossimo impegno salisburghese.
Grazie a voi!
Danilo Boaretto