Marina Comparato appare particolarmente radiosa quando ci viene incontro nella magnifica sala del San Carlo.
Adoro questo teatro, gli sono molto legata da quando vi ho debuttato nel 2006 con Cherubino, ed ora vi torno esattamente dieci anni dopo e con lo stesso ruolo! Una bellissima coincidenza.
Infatti, mentre parliamo, sul palcoscenico c’è già pronta la scenografia delle Nozze di Figaro: la nuova produzione del capolavoro mozartiano andrà in scena a breve (la prima è il 24 settembre). Marina ricorda:
Il mio primo Cherubino qui a Napoli fu con la regia di Mario Martone e con la direzione di Jeffrey Tate, uno spettacolo che ricordo con tanto piacere, direi quasi affetto. Lo considero molto importante per me.
Stavolta invece è una coproduzione con Bari, firmata da Chiara Muti. Cosa ci dici di questo allestimento?
Non vorrei raccontare troppo prima che vada in scena, non voglio sciupare la sorpresa. Anche se a onor del vero è stato già rappresentato, ma a Bari e non a Napoli.
Il lavoro con Chiara Muti è stato molto bello, l’ha impostato quasi come si trattasse di prosa, si vede che lei viene da quel mondo. Scenografie e costumi sono classici ma il modo di recitare è del tutto moderno, abbiamo lavorato tanto sui movimenti, sulle espressioni e sulle pause. In più Cherubino è presentato in una dimensione fanciullesca, non tormentato come mi è successo in altre occasioni ma più allegro, più bambino. In fondo lui può essere tante cose: “Non so più cosa son, cosa faccio”
Sei legata a questo personaggio, vero?
Sì, mi ha accompagnato un po’ per tutta la carriera ed è diventato il mio cavallo di battaglia.
Credi che abbia ancora qualcosa di nuovo da offrire a chi lo interpreta, ha ancora risvolti inediti da scoprire?
Senza dubbio! Cherubino è inafferrabile, perché è un personaggio maschile interpretato da una donna, è un bambino ma anche già un uomo, o forse nessuno dei due, è allegro e malinconico al tempo stesso. In ogni produzione, ma arriverei a dire in ogni recita, è passibile di una diversa lettura da parte dello stesso interprete. È un po’ come noi quando siamo adolescenti, in via di compimento. Lui è fotografato nel momento della sua trasformazione, porta il cambiamento in se stesso e non può mai essere uguale a quello che era prima.
Quasi un’espressione della famosa “ambiguità mozartiana”.
Sì, ma io direi dell’ambiguità umana. Perciò ha sempre dei lati nuovi da scoprire.
Quante volte l’hai interpretato? Le hai contate?
Eh sì! Saranno una ventina di produzioni, e le recite superano le cento.
E dopo tante volte è un ruolo che comincia ad andarti un po’ stretto?
(Ride) Vocalmente no, ma…
tu lo ami, naturalmente?
Lo adoro! Anche perché è uno dei personaggi che mi hanno permesso di arrivare dove sono ora, di fare questa carriera. Non mi va stretto vocalmente, ripeto, ma credo che sia arrivato il tempo per me di allargare un po’ il repertorio, cosa che ho già cominciato a fare.
Infatti anche parlando solo del San Carlo, negli ultimi anni ti abbiamo vista come Dorabella, Meg Page, il bambino ne L’Enfant et les sortileges. Però pensare a Marina Comparato e a Cherubino è quasi automatico.
Ecco, ormai da molto tempo sono identificata con lui, e allora sì: in questo senso posso dire che comincia ad andarmi stretto, anche se naturalmente i debutti in altri ruoli non sono mancati. Adesso ad esempio sembra che Rosina stia scalzando Cherubino nelle mie frequentazioni.
Proprio come Rosina hai avuto grande successo in Spagna pochi mesi fa.
Già, a Siviglia! Rosina a Siviglia (ride).
Senti che la tua voce sta cambiando, che ti porta verso nuove esperienze?
Sì, e sento che una maturazione sia vocale che tecnica mi sta conducendo verso un ampliamento del repertorio in senso più lirico. Negli ultimi anni ho debuttato in ruoli che fino a qualche anno fa pensavo impossibili, come Fenena che richiede un corpo e un legato maggiore, un fraseggio verdiano completamente nuovo per me, o come Concepcion nell’Heure espagnole di Ravel. Anche grazie al “guardare oltre” di alcuni direttori artistici ho potuto affrontare scritture più liriche, come nel caso dello Stabat Mater di Rossini che ho eseguito recentemente alla Fenice con la direzione di Chung.
Considerato tutto questo cosa vedi nel tuo futuro?
Credo che in questo momento la mia voce sia giusta e matura per ruoli del repertorio lirico francese come Charlotte in Werther, o per quelli di belcanto puro belliniano, come Adalgisa o Romeo dei Capuleti. Un discorso a parte per l’Orfeo nell'edizione francese adattata da Berlioz per Pauline Viardot.
Alla Viardot hai dedicato un intero CD.
Sì, e una serie di concerti. Ho sentito questa artista molto vicina a me, sia nei ruoli da lei interpretati che nella musica da lei composta. Una personalità straordinaria. Tornando ai ruoli che sento di poter fare miei aggiungerei anche Maffio Orsini e, perché no, Carmen. Certamente però nell’accezione di opéra comique come venne scritta, non come un’opera del verismo italiano come a volte viene intesa ancora adesso.
Faccio un nome: Eboli…
Mi piacerebbe molto! È un ruolo importante e impegnativo. Non vorrei sembrare presuntuosa affermando “sì lo posso fare immediatamente’’, ma sono molto interessata a “provarmelo”. Restando in campo verdiano mi piacerebbe anche affrontare Preziosilla, un carattere vivace che dà allegria, un po’ come sono io!
E nel Rossini serio?
In passato studiai il ruolo di Elena della Donna del lago ma poi non l’ho mai eseguito, e adesso è legato alle scelte artistiche dei teatri.
Non diresti di no?
No, non direi di no! Però in questo momento ho desiderio e necessità di cantare legato, ruoli che mi permettano un fraseggio lungo, quindi il belcanto e il canto francese che per me sono una gioia che mi libera dalle “catene” di Rossini.
Ti hanno mai proposto Cenerentola?
L’ho fatta recentemente in un piccolo festival negli appennini tosco emiliani, iniziativa per portare i bambini non solo ad ascoltare ma anche a partecipare ad uno spettacolo operistico. Un’esperienza molto bella.
Un’esperienza singolare ma non l’unica degli ultimi tempi. L’altra è legata alla tua ultima esibizione napoletana al di là di Meg Page, e merita di essere ricordata!
Ah! (Ride!): a maggio scorso ero a Napoli per il mio compleanno e ho avuto un grande regalo dal San Carlo, uno dei tanti perché questo teatro me ne ha fatti parecchi.
Ero venuta per salutare degli amici e nell’ascensore vengo bloccata dal Direttore artistico e dal segretario che mi fanno “Oh, Marina, sei qui? Abbiamo un’urgenza: si è ammalata una tua collega nella Zenobia in Palmira di Paisiello, puoi cantarla tu? Ti diamo un pianista, studi la parte e domani la canti.” Mi affidarono lo spartito, e il giorno dopo ho debuttato nella Zenobia in Palmira. Un’incoscienza totale da parte mia, ma è andata bene!
Pare quasi la storia di un film, però così sei tornata ad un repertorio, quello del Settecento napoletano, che per te non è nuovo.
È vero: a Napoli cantai Chiarella ne L’osteria di Marechiaro di Paisiello. Uno spettacolo meraviglioso di cui ricordo ancora le scene di Rubertelli e i costumi splendidi di Odette Nicoletti e soprattutto il rigore di Roberto De Simone che oltre a chiedere una recitazione molto precisa, pretendeva una perfetta pronuncia napoletana. Non fu facile ma per me è rimasta un’esperienza bellissima.
Tra l’altro recentemente hai riproposto la fotografia di Chiarella come tua “immagine del profilo” su Facebook. Tu sei un’artista che ha sempre seguito i social network, come ricordano anche gli habitué del forum di Operaclick.
Ormai è diventato quasi indispensabile. Ci sono due aspetti dei social network: uno è la “socialità”, appunto, che serve per fare amicizie, scambiarsi notizie con gli amici o ritrovare persone che non vedi da tanto tempo, e tutto questo mi piace molto. Poi c’è il lato promozionale che mi convince di meno perché secondo me la promozione va fatta con un certo rigore e eleganza; e in fondo per questo ci sarebbero i nostri agenti, c’è chi segue i nostri siti o le pagine promozionali facebook (che io non ho ancora, forse la farò).
Comunque sia, io desidero tenere assolutamente separata la mia vita personale da quella artistica, è un principio che ho cercato di applicare anche nella mia frequentazione scherzosa al forum di Operaclick dove per forza di cose negli ultimi tempi sono meno presente.
Intanto la sala del San Carlo si riempie di un gruppo di turisti in visita guidata, soprattutto stranieri che prima di uscire scattano foto e naturalmente gli immancabili selfie. Marina li osserva divertita.
Il pubblico dell’opera all’estero è diverso da quello italiano, è cosa ormai nota.
Infatti. In altri Paesi troviamo giovani, una platea molto più variegata che da noi, con persone che vanno a vedere l’opera come qualunque altro spettacolo.
Noti anche differenze in generale fra il pubblico dell’opera e quello dei concerti da camera? Tu hai anche un repertorio in tale senso.
Sì, spesso c’è come il timore che il pubblico della cameristica non apprezzi il cantante d’opera che si esibisce in quell’ambito, e si crea una certa preclusione che per me non ha motivo di essere. Io amo molto fare concerti da camera, specie il repertorio francese o italiano. Anche in quello tedesco ho fatto tante cose (Mozart, Mahler, Brahms, Schubert, Schumann…) ma purtroppo finora l’ho frequentato di meno.
Hai detto di no qualche volta, hai qualche rimpianto?
Sì: tanti anni fa rifiutai una proposta di cantare L’italiana in Algeri. Forse non mi sentivo pronta, però se avessi accettato oggi avrei Isabella in repertorio! In genere non dico mai no per principio, sono sempre pronta ad accettare nuove sfide quando le sento affini alla mia musicalità.
Tutti conoscono Marina Comparato ma non tutti conoscono come hai cominciato. Che ricordi hai del tuo debutto fiorentino, in un’Elektra diretta da Abbado?
Prima di tutto lo stupore che una “novellina” come me potesse essere chiamata a cantare, sia pure in un piccolo ruolo, in un teatro così grande come quello del Maggio Musicale. Ero già in scena prima che si aprisse il sipario e ricordo l’emozione quando vidi il teatro scoppiare di gente per quella Elektra rimasta nella memoria dei fiorentini. Poi l’entusiasmo del pubblico per Abbado con lunghi striscioni srotolati alla fine dell’opera, dal loggione verso il basso, con su scritto “Claudio sei tutti noi”. Di lui mi colpì il suo dirigere a memoria e la capacità di tenere in mano orchestra palcoscenico e pubblico semplicemente con uno sguardo.
Torniamo ancora un po’ indietro nel tempo e al tuo approccio allo studio della lirica.
L’approccio alla lirica tout court è nato da mia mamma che era una grandissima appassionata d’opera come suo fratello e i nonni, sia paterni che materni. Ma non avevo mai pensato di fare questo lavoro, tanto è vero che all’Università studiai Scienze Politiche. Poi contemporaneamente entrai in un coro amatoriale e iniziai a studiare tecnica vocale con gli esercizi del Garcia, che erano di una difficoltà inaudita. Subito dopo la laurea feci l’esame intermedio in Conservatorio da privatista e mi proposero di entrare come interna per gli ultimi due anni fino al diploma. Qui fu il punto di svolta. Mi ero laureata tre mesi prima e i miei genitori furono all’inizio un po’ perplessi, poi dissero “prenditi questi due anni fino al diploma e poi vediamo”... ed eccomi qua.
E fu facile individuare il tuo registro vocale?
Inizialmente no. Il maestro del coro mi fece studiare subito da mezzosoprano ma molti all’inizio ebbero il dubbio che fossi un soprano. Però anche al Conservatorio continuai a indirizzarmi verso ruoli di mezzosoprano leggero o brillante e tutti i miei debutti furono in tal senso con Cherubino, Siebel, Isolier, parti che hanno fatto poi la mia fortuna. Trovai spazio anche nel barocco ad esempio con Sesto nel Giulio Cesare, o con i ruoli ibridi nella Judita Triumphans.
Adesso a volte le mie allieve mi chiedono: “Ma io cosa sono? Un mezzo o un soprano?” Io rispondo che non importa cosa si è, ma cosa ci viene bene, come facciamo le cose.
Poi nel mio caso col tempo la mia voce è maturata, si è approfondita e ispessita, si è scurita e quindi ora è chiara la mia appartenenza al genere dei mezzosoprani.
Hai parlato delle allieve. Ti stai dedicando alla formazione dei giovani?
Non è che ho deciso di insegnare. Sono i giovani studenti che a volte mi hanno chiesto di venire a preparare qualche ruolo o a farsi sentire da me. Nel 2015 sono stata chiamata dal conservatorio di Modena per tenere una classe di canto ed è stata un’esperienza che mi ha arricchito. Insegnare ad un giovane a superare delle difficoltà ci costringe a capire come faremmo a risolvere quei problemi, ed è quindi un lavoro anche su noi stessi. Poi ovviamente sono io stessa allieva, in passato mi sono perfezionata con Raul Gimenez e vado sempre a lezione da un’insegnante che amo molto, Donatella Debolini.
E l’ascolto dei cantanti del passato quanto può essere importante per un artista?
All’inizio della mia attività mi è stato insegnato che dovevo trovare prima io la via interpretativa per un ruolo e solo dopo ascoltare come l’avevano fatto gli altri, per trovare magari qualche spunto.
Adesso che sono maturata come interprete trovo interessante ascoltare i cantanti del passato anche remoto. E in questo devo ringraziare il mio compagno con cui mi si è svelato un intero mondo: mi ha fatto scoprire cantanti che con voci fresche e chiare come la mia eseguivano ruoli che mi ritenevo preclusi. La Tassinari e Charlotte, per fare un esempio. Insomma mi si sono aperti nuovi orizzonti.
E al di là di questi “esercizi tecnici” un cantante d’opera, quando non canta, ascolta altri generi musicali?
No! È costretta a sentire l’opera dal suo compagno (ride di cuore). Io ascolterei altro, come le canzoni napoletane, che adoro. Tra l’altro è il programma di un concerto che ho in mente di fare prima o poi, ne ho discusso con amici partenopei: un percorso lungo la melodia nata all’ombra del Vesuvio dal ‘600 fino ai giorni nostri passando naturalmente per la grande tradizione otto e novecentesca. Secondo me anche nella canzone napoletana di oggi, selezionandola in modo opportuno, si trova il retaggio di certi melismi, di certi modi, di certe screziature.
Stai preparando qualche ruolo nuovo, un debutto?
Per prima direi proprio la Charlotte del Werther nel quale avrei dovuto debuttare ad aprile dell’anno scorso a Cagliari. Il teatro cambiò programmazione, ma per me il ruolo è pronto, così come Adalgisa. Due bellissimi personaggi. Aggiungerei Dulcinea, su cui lavorai con Bruno Campanella.
Speriamo di vederteli affrontare in scena in qualche teatro importante. Ma a te pesa essere sempre in giro, la vita dell’artista?
All’inizio ero eccitatissima, andare in giro per il mondo era il mio desiderio. Anche i miei studi originari di Scienze politiche erano mirati proprio a questo, ad avere una carriera internazionale che in fondo si è realizzata anche se in un altro ambito. Certo mi considero sempre fortunata, ma ammetto che passare lunghi periodi lontana da casa magari in luoghi lontanissimi come l’Argentina, il Giappone, la Cina comincia a diventare pesante.
E ora dove ti porteranno i prossimi impegni?
Ora ho un Barbiere a Bucarest, dove c’è una nuova direzione artistica, poi una Missa Solemnis di Beethoven a Trieste che è un debutto e l’anno prossimo sarò a Madrid a fare Cecilio nel Lucio Silla di Mozart. Poi ci sono anche altri progetti che non posso ancora rivelare, lasciatemi mantenere un po’ di mistero!
A presto allora, Marina!
Bruno Tredicine